14 Gennaio 2021 - 10.16

La guerra dei ristoratori e il rischio multe

di Stefano Diceopoli

Un fiume sotterraneo di iniziative, tutte rigorosamente gestite via social, sta interessando i ristoratori italiani.
E’ un grido di battaglia che non a caso parte dal settore della ristorazione, uno dei più colpiti dalla pandemia, con chiusure prolungate, aperture a singhiozzo, ristori che tardano ad arrivare, ed una grande sofferenza tra i professionisti del settore.
Un grido che si è materializzato nell’hashtag #ioapro1501, e che sta ricevendo approvazioni a valanga, tanto che si parla di 50.000 possibili aderenti alla manifestazione che prevede che da venerdì 15 gennaio i ristoranti, (ma la protesta potrebbe interessare anche bar e piscine) aprano in tutta Italia a pranzo e a cena, in barba a qualsiasi Dpcm emanato dal Governo, ritenuto a priori illegittimo.
Come accennavo, ristoratori da ogni parte d’Italia hanno accolto con entusiasmo questa iniziativa: aprire i locali al pubblico, far accomodare i propri clienti per un massimo di 4 persone al tavolo senza mascherina, ma senza consumare cibi e bevande. Una protesta senza trasgredire le norme, ma pensata come un modo per creare solidarietà tra tutti i ristoratori italiani. Ma c’è chi azzarda e punta ad aprire a tutti gli effetti la cucina al pubblico, con la possibilità di cenare.
A dire il vero, sul rispetto uniforme di queste modalità io qualche dubbio ce l’avrei, che mi deriva dall’aver navigato in Rete, dove ho trovato toni, accenti e proposte diverse. Tanti slogan, che vanno dal “Riapriamo completamente, altrimenti chiudiamo per l’eternità” all’ “Unione fa la forza”, a “Diamoci una sveglia”, sono a mio avviso la cartina di tornasole di “sensibilità” diverse, che potrebbero preludere anche a forme di dissenso diverse.
Che la protesta abbia comunque un’organizzazione lo si ricava dal fatto che si è pensato anche a precise tutele: “Non manderemo nessuno al massacro, chi si unirà alla protesta e terrà aperto verrà tutelato, anche legalmente. Abbiamo coinvolto 8 studi associati che forniranno assistenza gratuita, in caso di multe, sia agli esercenti che ai clienti”.
Comunque i nostri ristoratori non hanno l’esclusiva dell’iniziativa, perchè non si tratta di una protesta solo italiana.
Un’analoga ribellione, al grido di #wirmachenauf (#apriamo), ristoratori e altri esercenti la stanno organizzando in tutta la Svizzera, e sembra che l’idea e l’hashtag siano arrivati dalla Germania.
E le associazioni di categoria come stanno reagendo?
Sicuramente non a favore, e lo testimoniano queste parole di Matteo Musacci, presidente regionale FIPE Emilia Romagna e Vicepresidente nazionale: “Queste manifestazioni, certamente risultato di politiche improvvisate e programmazioni inesistenti, unite alla disperazione di una categoria senza più ossigeno, lasciano il tempo che trovano e, in più, vanno contro normative a cui nessun legale può opporsi. Si tratta di gesti radicali e inconsulti, che non possiamo appoggiare. Ecco perché Fipe ribadisce a gran voce di non aprire, perché poi le sanzioni vanno pagate, e contravvenire alle regole comporterebbe anche l’imposizione di chiusura”.
Mi sembra una posizione netta ed inequivocabile di responsabilità.
Ma al di là di tutto io credo che queste iniziative vadano prese molto seriamente, perchè sono la prova tangibile di un disagio molto diffuso in alcuni settori della nostra economia, e temo che possano rappresentare la punta di un iceberg.
Detto questo, spero che i ristoratori che hanno manifestato l’intenzione di aderire all’iniziativa #ioapro1501 non si sentano i rappresentanti di una “disobbedienza civile”.
Perchè la disobbedienza civile è qualcosa di molto più serio.
Un esempio di vera disobbedienza civile è stata la “marcia del sale”, con cui il Mahatma Gandhi marciò per oltre 200 miglia per contestare la tassa sul sale imposta dal governo coloniale britannico.
Il solo paragonare la “marcia del sale” ad #ioapro1501 mi sembrerebbe quasi blasfemo.
Lì si trattava della lotta di un popolo contro un oppressore straniero per la propria libertà, qui molto più modestamente di tenere aperti i ristoranti qualche ora in più.
Qui non c’è alcun tiranno da cacciare, bensì un virus terribile che improvvisamente ha aggredito tutta l’umanità, che ha già fatto circa due milioni di morti, e che sta stravolgendo le vite di tutti noi, non solo dei titolari dei ristoranti.
Certo si può protestare, ma contro cosa?
Contro un Governo che, sia pure con incertezze, impreparazione, mancanza di visione complessiva, sta cercando con grandi difficoltà di porre un argine ai contagi?
Sarebbe come protestare contro i terremoti, le alluvioni, il cattivo tempo.
Ed oltre a tutto vogliamo aprire quando è alle viste un’ulteriore impennata dei contagi, che dopo aver aggredito Gran Bretagna, Irlanda e Germania, sta arrivando anche da noi?
Via, siamo seri!
Io credo sia giusto che chi ha la responsabilità di governarci, da noi attribuitagli con libere elezioni, sia aperto al dialogo con tutte le categorie sociali ed economiche.
Ma questo non vuol dire assolutamente cedere a pressioni corporative, per quanto sorrette da giuste motivazioni, perchè a quel punto si romperebbe un argine, e tutti pretenderebbero deroghe alle norme anti pandemia a proprio favore. Con l’unico risultato, già scritto, di dare un via libera definitivo al virus.
La rabbia non è mai una buona consigliera, per cui è meglio che i ristoratori, cui vanno comunque la nostra vicinanza e la nostra solidarietà, non si abbandonino all’istinto, ma ragionino, e ricerchino soluzioni con altri mezzi.
Un’ultima notazione. Sono così sicuri i “disobbedienti” che avrebbero frotte di clienti pronte a sedersi ai tavoli dei loro locali, in spregio alle prescrizioni delle Autorità, rischiando oltre che di infettarsi, multe salate e magari anche qualche denuncia?
Io non ci scommetterei!
Stefano Diceopoli

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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