23 Ottobre 2016 - 18.44

La deriva coatta della politica

av-milano

Ma davvero è inevitabile oggi per i leader politici una deriva “coatta” e da celebrity mediatica? Siamo sicuri che sia opportuno, alla lunga, sforzarsi di essere “come” gli altri? O forse non vale la pena tentare di essere (e apparire) diversi per conquistare gravitas? Se sei “come” gli altri, qual è la differenza con un supercafone del Grande Fratello Vip?

La nostra riflessione domenicale trae spunto dalle immagini renziane alla Casa Bianca (con l’ormai imbarazzante “Renzish”, la mimica da italiano in gita, i vip veri o presunti esibiti come trofei di caccia, eccetera), ma avrebbe tranquillamente potuto basarsi su performance di tenore analogo: per citare esempi diversissimi fra loro, la bandana berlusconiana o il Di Battista in moto (tutte cose molto efficaci, secondo la valutazione degli “esperti”).

Intendiamoci bene: sappiamo perfettamente che c’è una deriva mediatica irrefrenabile. In Inghilterra hanno coniato la formula della “X-factorizzazione” della politica, ed è assolutamente vero: siamo dentro un talent-show, e molti elettori sono portati a concedere il loro “mi piace”, come su Facebook, per la percezione di un istante, magari verso il candidato con cui berrebbero volentieri una birra, a prescindere da considerazioni più di fondo e da troppo sofisticati calcoli sulle conseguenze di quel “like”.

La deriva che rende il politico assatanato di atteggiamenti pop e lo svuota di valore e di autorità ha raggiunto livelli inimmaginabili con Renzi e con tutti i suoi imitatori di periferia, che ci fanno intravvedere un po’ di Renzish anche dalle parti della Loggia Bernarda, per non parlare delle pattuglie di sindaci di micro comuni che si sentono statisti per una comparsata in TV.

Il nostro dubbio è se il cedimento è totale, se l’unico obiettivo diventa apparire (e alla lunga essere) come gli altri, qual è la differenza con un supercafone da Grande Fratello Vip? Nessuna, se non che il supercafone sarà anche più muscoloso e più tatuato, quindi ancora migliore, agli occhi del grande pubblico.

Provare a far riguadagnare alle leadership politiche una diversità oltre che etica anche estetica, prerequisito d’obbligo per giustificare la diversità dei compiti a cui si dovrebbe essere chiamati, dovrebbe essere un mantra per chi ha ancor un po’ di rispetto per i suoi neuroni.

Dicendolo in termini astratti, se devi decidere su una delicata vicenda economica, o se devi gestire una guerra, non puoi limitarti a fare la faccia di circostanza in quel momento, salvo agire da giullare per il resto del tempo. O hai costruito, prima, durante e dopo, una gravitas che legittimi la tua posizione, oppure sarà materialmente impossibile prendere decisioni difficili, o anche solo prendere decisioni con un minimo di credibilità.

A meno che non ci si accontenti di questo: tecnocrazie e burocrati come gestori dello status quo, in una logica da pilota automatico, e ceto politico come un cast di intrattenitori.

Certo, siamo su un terreno dove rilevano le caratteristiche e la sensibilità di ogni persona, ma anche i “formati” contano, anche i “contesti” in cui la comunicazione avviene hanno un loro indiscutibile rilievo. Il presidente americano, chiunque lui (o lei) sia, parla 99 volte su 100 dalla Casa Bianca, con podio e simbolo della presidenza: poi, una tantum, può capitare che vada in uno show televisivo oppure che si conceda in una versione più pop, ma si tratta – appunto – di un’eccezione. Se invece – come accade qui da noi – un leader politico sta tutte le sere sulle stesse seggioline televisive dove, appena lui si alza, siedono figuranti di ogni tipo, diviene automaticamente “omologabile” – anzi omologato – a quei figuranti, e figurante lui stesso, intercambiabile con gli altri.

Il presente di certo ma il futuro anche di più, riservano al nostro Occidente momenti difficili e cupi. Serviranno o servirebbero guide autorevoli.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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