9 Febbraio 2021 - 10.16

La “conversione” di capitan Salvini

Sovente dopo che un fatto è avvenuto sono in molti a scandire la fatidica frase “io l’avevo detto”.Già, il mondo è pieno di “profeti del giorno dopo”, ma se parliamo della crisi di governo in atto, chi ha seguito l’evoluzione politica degli ultimi mesi non può aver dimenticato l’intervista che Giancarlo Giorgetti rilasciò il 16 dicembre 2020 ad Antonio Polito su Il Corriere della Sera.Nella quale l’esponente leghista, considerato l’anima moderata del Partito, disse a chiare lettere: “il Governo Conte cadrà, il centrodestra non è pronto a governare”, ribadendo poi la necessità di un Esecutivo ad ampia base parlamentare, con dentro i migliori, guidato dal “migliore”. Giorgetti non fece apertamente il nome di Draghi, ma l’indicazione era inequivocabile, perchè già altre volte aveva caldeggiato un Governo guidato dall’ex Presidente della Bce.Ed espresse anche chiaramente le motivazioni che stavano alla base della sua analisi: “…Per esempio quando si tratterà di rivedere tutta la legislazione di sussidi e blocco dei licenziamenti che c’è ora, oppure per investire i soldi europei in progetti che creino veramente crescita, unica via per un Paese con un tale debito pubblico. Insomma, qui nessuno sembra farci caso, ma noi stiamo in piedi perché la Bce compra i nostri titoli sui mercati. Durerà, ma non all’infinito. Poi dovremmo farcela con le nostre gambe. E chi lo farà? Le banche? L’Unicredit di Padoan presidente? Nessun Governo senza la necessaria credibilità e serietà potrebbe sventare il rischio di una tempesta finanziaria».Ritengo utile partire da questa “profezia” di Giorgetti non solo perchè gli va dato atto di averla pienamente azzeccata, ma anche perchè ritengo che dietro la decisione di Matteo Salvini di questi giorni ci sia il suo “zampino”. Perchè, diciamolo chiaramente, nel clima da “Vengo anch’io” che si è creato dopo l’incarico, la vera novità, quella che non ti aspettavi, è l’apertura del Capitano al tentativo di Draghi, nonostante il “No” dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.Credo non vi sfugga la “virata” imposta da Salvini alla linea politica tenuta fino ad ora, fatta di sovranismo spinto, di populismo, di alleanze strette con il Rassemblement National di Marine Le Pen e con gli estremisti di destra della Aft tedesca, di scontro frontale con l’Europa.Una “virata”, quella appunto della scommessa leghista su Draghi, talmente inaspettata da aver mandato in totale confusione il campo avversario, in particolare il Partito Democratico, già pronto ad “appropriarsi” di Draghi, ma anche il Movimento 5 Stelle, convinto ad allinearsi solo dopo l’ “entrata a gamba tesa” del solito Beppe Grillo, che si conferma l’unico in grado di imporre una parvenza di linea politica a quello che spesso sembra un gruppo di sbandati, anche se la scelta verrà formalmente delegata alla solita votazione sulla piattaforma Rousseau. Per la sinistra si tratta di un problema non di poco conto, oserei dire di un bel rospo da ingoiare. Perchè la maggioranza “improvvisata” del Conte2, inutile girarci attorno, era nata al solo scopo di impedire a Salvini di vincere le elezioni ed arrivare al governo.E, ironia della sorte, se il Governo Draghi vedrà la luce come ormai pare assodato, la “sinistra” si troverà a governare insieme all’avversario che ha cercato di demonizzare in tutti i modi, al Salvini dei porti chiusi agli immigrati, al Salvini dei decreti sicurezza, al Salvini pericolo per la democrazia italiana.Certo si potrebbe fare un bel po’ di ironia anche sul fatto che ad essere imbarcata sulla “nave Draghi” ci sarà anche Forza Italia del cavalier Silvio Berlusconi, per decenni oggetto della “demonizzazione rossa”.Ma il metodo della costante demonizzazione dell’avversario da parte della “gauche” merita forse un altro articolo. Ai nostri fini al momento basta dire che non sarà proprio semplice per la dirigenza del Pd spiegare ai militanti che alla fine si è scelto di governare assieme al “razzista”, al “sessista”, al “fascista” Matteo Salvini, per anni dipinto nella “narrazione progressista” come la sentina di ogni nefandezza.Tornando al Capitano, ed alla sua “scommessa su Draghi”, è sicuramente interessante cercare di capire cosa ci sia alla base di questa che, mi si passi l’accostamento, sembra tanto una “conversione sulla via di Damasco”.Ed al riguardo la domanda vera è: si tratta di tattica o di strategia?Tatticamente è stata sicuramente una decisione azzeccata, perchè, come abbiamo visto, è riuscita a spiazzare gli avversari. Ma se tutto si riducesse a mera tattica, la manovra avrebbe il fiato corto. Certo consentirebbe a Salvini di non lasciare a Berlusconi l’iniziativa nel futuro Governo, e gli consentirebbe di entrare nella partita della successione di Sergio Mattarella, ma in realtà si intuisce che sotto c’è qualcos’altro. Probabilmente le analisi che Giorgetti porta avanti da anni hanno cominciato a fare breccia nel Capitano.E cosa predica Giorgetti?Che per entrare a Palazzo Chigi, facendo venire meno quella “conventio ad escludendum” che lo perseguita, Salvini necessita di un accreditamento sia interno che internazionale. Perchè non si diventa Capo di Governo se non ci si toglie di dosso l’immagine di “truce”; non si governa contro l’establishment e contro i principali partner internazionali, dall’Unione Europea agli Stati Uniti. E quale migliore occasione del Governo di “unione nazionale” promosso da Mattarella per archiviare la stagione dell’impresentabilità, fra l’altro tanto comoda agli avversari?Io credo che una cosa del genere non si improvvisi, non possa essere il frutto di un colpo di testa, o di una tattica momentanea.Dietro c’è una “maturazione politica” in atto da tempo, che aspettava il momento giusto per manifestarsi. Certo non sarà agevole far “digerire” la svolta a certa base leghista, quella per capirci che ha ancora la camicia verde stirata e piegata nel comò, quella nostalgica dei raduni di Pontida o dei riti del “leghismo bossiano”, quella che spera ancora nella nascita della “Padania”, o quella che non ha ancora realizzato che un ritorno alla lira non è fattibile, e sarebbe pure suicida.Ma non ho dubbi che Salvini e la leadership leghista sapranno far capire ai propri elettori di non aver rinunciato per sempre alle polemiche con l’ Unione Europea, alla sovranità ed al primato dell’interesse nazionale, ma ciò dovrà essere fatto “con i guanti”, addolcendo gli slogan ed esprimendosi con toni compatibili con il nuovo corso, spiegando bene che non si può governare l’Italia se non sei parte integrante delle forze di governo in Europa, se non tranquillizzi investitori internazionali e Cancellerie.Come ho detto non sarà facile, ma anche per Salvini “Parigi val bene una messa”, e per raggiungere l’obiettivo forse sarà necessario in prospettiva anche entrare nel Ppe, il salotto buono della governabilità europea, come ha ben compreso anche il sovranista ungherese Viktor Orbàn.Per certi versi è una scommessa, ma se il Capitano riuscirà a vincerla, il premio finale potrebbe essere anche Palazzo Chigi, se gli italiani lo vorranno.Ma ho la sensazione che, oltre ai ragionamenti politici, nel “via libera” a Draghi, abbia giocato anche un altro fattore, quello del prezzo da pagare in caso di arroccamento all’opposizione.Non è un mistero che i Governatori leghisti, che sicuramente più di Salvini hanno il polso dell’elettorato e del mondo produttivo, hanno esercitato un forte pressing sul loro “Capo”.E hanno fatto sentire la loro voce anche gli industriali del Nord, esponendosi di persona, come l’imprenditore veneto Alberto Baban, ex Presidente di Piccola Industria di Confindustria, che ha dichiarato: “La Lega sarà obbligata a sostenere un governo Draghi, altrimenti perderà la sua base, che è fatta di piccole e medie imprese, di partite Iva, di gente che sta sul mercato e ha bisogno di un governo serio. Se la Lega vuole affossare l’Italia solo per una questione ideologica o di convenienza politica, la pagherà”. E ancora: “Il mio auspicio è che si uniformino a una strategia di difesa da una crisi devastante e che guardino un po’ oltre i loro steccati. Non ci sono altre soluzioni, ce n’è una sola. Ci è stata offerta e tradire questa opportunità vuol dire andare contro gli interessi del Paese”.In definitiva il Capitano non poteva restare sordo di fronte alle pressioni dei ceti produttivi del Nord, che in questi anni hanno sostenuto e votato in massa la Lega, anche quando questa ha messo in un cassetto la questione settentrionale e l’autonomia a favore della politica dei bonus e dei sussidi. Perchè a questi imprenditori la sicurezza e la lotta ai clandestini vanno sicuramente bene, ma non bastano più in un momento in cui l’economia è alle corde in conseguenza della pandemia.Anche per questo Salvini, a mio avviso, ha scelto la cosiddetta via della “responsabilità”, e a noi non resta che attendere se la “conversione sulla via di Damasco” si trasformerà nella “conversione sulla via di Bruxelles”.I presupposti, al momento, ci sono tutti. 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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