5 Gennaio 2020 - 19.03

“La befana vien de note…”

“La befana vien de note, co le scarpe tute rote, col vestito da romana, la befana xe me mama”.
Credo che nessun veneto possa dire di non avere mai sentito questa filastrocca che, con qualche variante (col vestito da furlana, col capelo alla romana ecc.) era diffusa nel nostro territorio.
Va subito detto che la figura della Befana è presente solo in alcune aree geografiche del nostro Paese, in special modo nell’Italia settentrionale, e fra queste il Veneto.
Come tutte le figure leggendarie, il mito della Befana trova le sue origini nella notte dei tempi.  Secondo interpretazioni largamente accettate si richiamerebbe alla figura celtica di Perchta, assimilabile ad alcune figure come Frigg in Scandinavia, Holda nell’Europa del nord, Bertha in Gran Bretagna, Berchta in Austria, Svizzera, Francia e Nord Italia. Tutte questi mitici personaggi erano intimamente legati alla personificazione al femminile della natura invernale, e ovunque erano rappresentati come una vecchia gobba, con il naso adunco, con capelli bianchi e scarmigliati raccolti con un fazzolettone di stoffa pesante (e non il cappello a punta delle streghe di tradizione anglossassone), vestita di stracci, con uno sciarpone, con le scarpe rotte, e dotata di  una scopa volante.
Come quasi sempre è successo con tutte le credenze pre-cristiane dei popoli europei, a mano a mano che il cristianesimo diventava la religione dominante, la Chiesa finì per condannare questi vecchi riti, definendoli frutto di influenze sataniche.
Ma questo tentativo di “demonizzazione”  non riuscì a cancellare la memoria di questa vecchina, antica figura pagana femminile, tanto che venne gradualmente accettata dal cattolicesimo, che finì per vedere nella befana una sorta di dualismo fra bene e male.
Un tentativo di “cristianizzare” la “vecia” la si ritrova in una versione religiosa della tradizione, che racconta che i Re Magi in viaggio verso Betlemme avessero perso il cammino, e che si fossero rivolti per informazioni ad una vecchia. La storia continua raccontando che i Magi avessero poi insistito con la vecchia perché si unisse a loro nella missione di portare doni al bambino Gesù. La vecchia rifiutò, ma poco dopo si pentì, e quindi preparò un sacco di regali, e si mise alla ricerca dei Magi.  Non trovandoli, nel tentativo di farsi perdonare, bussò ad ogni porta, consegnando i doni ad ogni bimbo che incontrava, nella speranza che uno di loro fosse Gesù bambino.  
Abbiamo detto che la figura della befana è diffusa in special modo nelle regioni del nord Italia.  A mano a mano che si scende per la penisola infatti, nella sua missione di distribuire doni ai bambini la vecchia trovò la “concorrenza” di San Nicola, che divenne poi  Santa Klaus e quindi il Babbo Natale diffuso in tutto il mondo, di Gesù Bambino, e di Santa Lucia.
Sono trascorsi tanti, ma tanti anni, da quando la notte del 6 gennaio aspettavo con ansia l’arrivo della vecchietta, e dei suoi doni.
La sera prima era “obbligatorio” preparare un piccolo “rinfresco”, per consentire alla befana, stanca di tanto peregrinare, di fare una sosta per riprendere le forze.  Così almeno ci raccomandavano i nostri genitori; e allora si stendeva la tovaglia,  e si posizionavano un piatto, un bicchiere, del pane con un po’ di companatico, dell’acqua e del vino.   Già, perché almeno dalle nostre parti, la Befana non era astemia!
Si andava a letto con trepidazione, attenti ad ascoltare il minimo rumore per capire se magari la “visita” fosse già iniziata.   Sotto le coperte si ripercorrevano mentalmente i comportamenti che si erano tenuti durante l’anno, perché se il bilancio era positivo ci si poteva aspettare qualche bel regalo; diversamente c’era il rischio di trovare i classici “ cenere e carbone”.   Ricordo che dicembre in particolare era il mese in cui la mamma ci teneva buoni appunto con il “ricatto” del “carbone per i bambini cattivi”.  In generale, da parte di noi bambini il giudizio era sempre “auto assolutorio”, per cui si era sempre fiduciosi che le nostre speranze fossero esaudite.   Speranze e desideri che avevamo espresso per iscritto nella classica “lettera alla Befana”, che oltre a riportare la lista dei “desideri”, conteneva anche l’impegno di essere buoni per l’intero anno.
Nonostante di acqua ne sia passata tanta sotto i ponti,  le sensazioni di quelle notti di Epifania sono ancora vive nei miei ricordi, e rammento che il mio papà, quando ero ormai cresciuto, mi raccontava che l’ultimo anno in cui la Befana visitò la nostra casa, ebbe enormi difficoltà a scendere in cucina per appendere le calze e posizionare i regali, perché io e mia sorella eravamo talmente eccitati da costringere mia madre a presidiare la nostra camera per impedirci di infrangere l’innocenza della fanciullezza, scoprendo cioè che la Befana aveva le fattezze del nostro genitore.
E nonostante tutto, ritengo che l’apprendere che la Befana così come l’avevamo immaginata nella nostra fantasia di bambini non era un essere reale, ma era la nostra mamma od il nostro papà, rappresentava una sorta di “rito di passaggio”, in cui in un certo senso si diventava “adulti”.
Ma resto convinto che vedere il viso felice di un bambino quando scopre e scarta i regali nella notte del 6 gennaio resta un momento impagabile, quasi magico, un momento che non si deve negare a nessun pargolo!
Anche se, diciamocela tutta, il rito della Befana era molto più sentito quando eravamo più poveri, e non c’erano tutti i beni di consumo ed i giocattoli di oggi.
Nella tradizione veneta non c’era Babbo Natale, per cui c’era solo la Befana a portare qualche dono ai bambini. Doni che in altri tempi erano limitati al solo contenuto della calza appesa al camino, in cui si potevano trovare mele, noci, nocciole, “caròbole” (carrube) e “straccaganasse” (castagne secche), arance e mandarini.
Mi rendo conto che per i più giovani queste cose sembrano favole di altri tempi; ma non si tratta di favole, bensì di realtà.  Ma di una realtà in cui il sogno, il desiderio, erano parte della vita dei bambini, e forse valevano di più delle camerette piene di giochi di questi ultimi decenni.
Tornando alla storia ed alla tradizione della Befana, essa coincide con la festa cristiana dell’ Epifania, termine che deriva dal greco antico,  che significa “manifestazione”, “apparizione divina”, “venuta”, e si riferisce all’apparizione di Gesù bambino all’umanità, rappresentata nel cristianesimo occidentale dai tre Re Magi.
Ed il termine Befana secondo gli studiosi non sarebbe che una corruzione lessicale di Epifania tipica di alcune Regioni italiane, ma meno conosciuta nel resto del mondo.
Quindi l’Epifania viene celebrata un po’ in tutti i Paesi di tradizione cristiana, ma non nello stesso modo.
Ad esempio in Francia il giorno dell’Epifania si usa fare un dolce speciale, all’interno del quale viene nascosta una fava.    Chi la trova per quel giorno diventa il Re o la Regina della festa.
In Germania il 6 gennaio è il giorno dell’arrivo dei Re Magi, ma non è un giorno festivo.
Anche in Romania si festeggia l’arrivo dei Magi, e la tradizione vede i bambini andare a bussare alle porte per chiedere se possono raccontare le loro storie, ricevendo di solito come compenso qualche spicciolo.
In Ungheria il giorno dell’Epifania i bambini si vestono da Re Magi e vanno di casa in casa con un presepe in mano, ed in cambio ricevono qualche soldino.
In Spagna il 6 gennaio tutti i bambini si svegliano presto e corrono a vedere i regali che hanno lasciato i Re Magi.  E’ una tradizione molto sentita nella penisola iberica, che non è stata scalfita né da Babbo Natale né tanto meno dalla Befana.   Il giorno precedente i piccoli mettono davanti alla porta di casa un bicchiere d’acqua per i cammelli assetati, qualcosa da mangiare per i Reyes Magos, ed una scarpa.   In molte città spagnole è previsto il corteo dei Re Magi, con comparse in costume che sfilano per le vie cittadine su carri riccamente decorati.
Paese che vai, usanza che trovi!
Teniamoci quindi strette le nostre tradizioni legate alla “vecchietta” che il giorno dell’Epifania vola nel cielo notturno con la sua scopa, portando sulle spalle un sacco pieno di doni per chi è stato buono, o di aglio e carbone per chi non si è comportato bene.
Le Befane che vedo in televisione proprio non le riconosco.
Non sono quelle della mia infanzia e di quella di tanti veneti non più giovani.
Questo a mio avviso dovrebbe essere il vero significato di questa tradizione; la calza come augurio di abbondanza, di salute, di buoni sentimenti. Ma soprattutto di un sogno, di una magia, in questo mondo in cui il consumismo sta cancellando i sogni anche dagli occhi dei bambini.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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