23 Novembre 2020 - 9.46

Italiani brutta gente?

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di Stefano Diceopoli

Domenica scorsa fa un quotidiano veneto riferiva che l’Actv, l’azienda che gestisce la mobilità nel comune di Venezia, ha scoperto che ci sarebbero state centinaia di persone che avrebbero falsificato l’autocertificazione prevista per godere di sostanziosi sconti nel prezzo di abbonamenti e biglietti, agevolazioni previste per gli studenti e per i residenti nelle isole della laguna.
E’ evidente che per imbrogliare l’Azienda dei trasporti o si fingeva di essere studenti, falsificando anche il timbro della scuola, oppure si dichiarava una falsa residenza nelle isole.
La notizia mi ha colpito forse perchè si riferisce al nostro Veneto, ma in fondo è solo una delle tante truffe e malversazioni, piccole o grandi, che ogni giorno trovano spazio nelle pagine dei giornali e nelle cronache dei media.
Non c’è che l’imbarazzo della scelta.
E si va dalle infinite scoperte di percezioni indebite del “mitico” reddito di cittadinanza, che ormai si è capito viene incassato anche da delinquenti abituali, truffatori, carcerati, lavoratori in nero e chi più ne ha più ne metta, ai concorsi truccati, all’evasione fiscale generalizzata, alla manipolazione degli appalti, ai raggiri ai danni delle persone anziane, reato quest’ultimo particolarmente odioso. E badate bene che queste sono solo alcune delle attività truffaldine in cui indulgono larghe fette della popolazione italiana, perchè in questo campo la fantasia dei cittadini del BelPaese non ha limiti.
Ma è evidente che, sempre restando al reddito di cittadinanza, quando si viene a sapere che fra i beneficiari c’è anche uno degli esecutori dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, condannato in via definitiva a 7 ergastoli, oltre che la Signora con 306mila euro in banca, è difficile non passare dalla sorpresa all’indignazione.
Ma a parte questi casi che, anche se ormai ci siamo quasi assuefatti, sono di una gravità assoluta, credo non si possa negare che in questi ultimi anni nella nostra società latita profondamente il senso civico, quel “sesto senso” grazie al quale ogni cittadino dovrebbe sapere che la panchina sulla quale si siede, la pensilina alla fermata del bus che lo ripara dalla pioggia, i bagni pubblici ove ci sono, le strade, i marciapiedi, appartengono ad ognuno di noi, perchè sono stati pagati con i soldi delle nostre tasse, e di conseguenza andrebbero rispettati come fossero beni personali.
Rispettare le aree verdi, non abbandonare rifiuti per le strade o nei parchi, non imbrattare i monumenti ma anche le case private, non rompere vetri e cassonetti, dovrebbero costituire l’abc, il bagaglio di ogni buon cittadino, anziano o giovane che sia, ma purtroppo quello che vediamo ogni giorno nei nostri quartieri testimonia che lo scadimento del senso civico è ormai parte della nostra vita, e che si è diffusa una percezione di “alterità” fra l’interesse del singolo e quello pubblico, con la conseguenza che lo Stato, anche nelle sue articolazioni territoriali, diventa solo una “controparte da fottere”, o una “vacca da mungere”. Tanto è vero che diventano notizie da prima pagina ad esempio i casi di persone che restituiscono al proprietario portafogli contenenti soldi rinvenuti per strada, o dimenticati in un bancomat come avvenuto qualche giorno fa a San Martino di Lupari nel padovano.
E non a caso, pur facendo le debite proporzioni, accomuno in un unico discorso le truffe vere e proprie ed i comportamenti incivili, perchè senso civico non vuol dire solo riconoscersi nell’inno nazionale quando giocano gli “azzurri”, ma anche e soprattutto rispettare la proprietà pubblica consentendo un’adeguata fruizione a tutti i cittadini, e non appropriarsi indebitamente di risorse cui non si ha diritto.
Un detto popolare recita che “el pèse spusa dala testa”, facendo intendere che il marcio parte sempre dall’alto.
E nella fattispecie dalla nostra classe politica, che palesemente non è neanche l’ombra di quella che prese in mano le redini dell’Italia nell’immediato dopo guerra.
Uomini e donne che si erano formati nelle galere del regime o al “confino”, e per descrivere i quali mi basta riferire queste parole di Sandro Pertini. “La politica, se non è morale, non mi interessa … non la considero nemmeno politica. La considero una parolaccia che non voglio pronunciare. Non esistono una moralità pubblica e una moralità privata. La moralità è una sola, perbacco! E vale per tutte le manifestazioni della vita. E chi approfitta della politica per guadagnare poltrone o prebende, non è un politico. E’ un affarista, un disonesto”. Ed ancora : “Io sono intransigente, prima di tutto verso me stesso. E dico che la politica deve essere fatta con le mani pulite. Cioè [il politico] non deve compiere atti di disonestà, poiché ne deve rispondere non solo dinanzi alla sua coscienza, ma anche di fronte al corpo elettorale”.
Starete sicuramente pensando che quelli erano altri uomini, e che oggi “il convento passa” quello che vediamo e leggiamo ogni giorno, con un evidente scadimento del costume politico nelle forme e nella sostanza, una divaricazione tra azione politica ed azione morale,
Non c’è alcun dubbio che sia così, ma io non voglio smettere di credere che una politica disancorata dall’etica cessa di essere tale, in quanto svuotata di contenuti socialmente apprezzabili.
E la conseguenza è che da anni leggiamo di uomini politici o di Grand Commis arrestati per corruzione, concussione, concorso esterno in associazione mafiosa, appropriazione indebita ed altri gravi reati contro lo Stato e…. semplicemente giriamo pagina, quasi dando per scontato che sia normale.
Anni fa lo aveva splendidamente espresso il cardinale Carlo Maria Martini con queste parole: “Il livello di allarme si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è percepito neppure come dannoso”.
Parole quasi profetiche queste del porporato ormai scomparso, che fanno ben capire come ci sia un nesso evidente fra il calo di livello della morale politica e quello della società nel suo complesso.
E che porta a vere e proprie aberrazioni, come quella documentata da un’intercettazione di un imprenditore che dopo il terremoto che ha distrutto l’Abruzzo rideva perchè per lui si aprivano occasioni di guadagno.
O come i numerosi casi di ministri e parlamentari finiti sotto accusa per essersi, come si usa dire, “infarinati le mani”.
Come meravigliarsi se di fronte ad esempi di questo tipo alla fine si diffonda anche in parte della cosiddetta società civile il menefreghismo sociale, il disprezzo per il bene comune, la disonestà sistematica, un patologico familismo amorale.
E quindi viene da concludere che chi ci rappresenta istituzionalmente non sia altro che l’immagine speculare della nostra società, una sorta di immagine riflessa di cui ci vergogniamo, perchè in qualche modo l’accettiamo.
Al riguardo voglio specificare alcune cose.
Innanzi tutto che è sempre un errore generalizzare, nel senso che sono conscio che buona parte degli italiani non sono truffatori incalliti, ma sarebbe bene che gli onesti cominciassero ad agire come anticorpi della parte infetta.
Inoltre non sono un moralista tout court, e so bene che “a fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro…… che ti epura”.
E so altrettanto bene che fare dell’onestà l’unica cifra di un programma politico non porta a nulla, perchè c’è il rischio che alla fine resti solo quella, e si vada tutti in paradiso dopo essere morti per fame.
Ma qualcosa bisognerà pur fare!
E quindi è indispensabile un impegno quotidiano di tutti i cittadini, consci dei propri diritti ma anche dei propri doveri, che si deve concretizzare in piccoli gesti quotidiani come il rispetto della legge, la cura del territorio, la denuncia del malaffare e di ogni abuso di potere. E continuando, con lo stigmatizzare la corruzione, la vigliaccheria morale, ed in generale sdegnandosi per tutti quei comportamenti di inciviltà che minacciano ciò che è pubblico.
Oltre a quello insostituibile della famiglia, un ruolo essenziale in questa che definirei “rinascita morale” lo ha sicuramente la scuola.
E non nel senso che la scuola deve insegnare ai ragazzi i rudimenti dell’educazione civica, cosa peraltro utile, ma soprattutto che deve insegnare che comportarsi bene “paga”.
Perchè qualunque caso in cui un atto di bullismo o di prevaricazione viene trattato con il classico “in fondo sono ragazzi!”, costituisce un segnale per gli altri che a comportarsi male non si rischia nulla.
Nella scuola di una volta il voto in condotta aveva una grande importanza, nel senso che con una valutazione di “sette” si rischiava di ripetere l’anno.
Sarà anche stato “autoritarismo”, ma ciascuno di noi ci pensava bene prima di offendere un’insegnante, o mettere in atto qualche comportamento fuori dalle righe, perchè si sapeva come poteva andare a finire.
Forse ripensare a come si faceva un tempo, potrebbe aiutarci a ripristinare certi valori nella nostra società, cominciando da quando si è bambini.
E’ diffusa l’idea che il mondo dopo il Covid-19 non sarà più quello di prima. Probabilmente molte cose saranno diverse, e fra queste mi auguro ci sia la percezione generalizzata che l’immoralità di certi politici e di certi cittadini non è più accettabile.
Per la politica la” prova del nove” saranno i soldi del Recovery Fund. Se sarà evitata l’ormai cronica commistione fra criminalità organizzata e spesa pubblica, con i consueti strascichi giudiziari, allora il virus, scusatemi per l’affermazione “forte”, non sarà passato invano.
Stefano Diceopoli

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