23 Aprile 2020 - 15.52

Il virus colpisce il teatro, la politica lo uccide – Parte 2

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di Alessandro Cammarano

Si avvicina il fatidico quattro di maggio, giorno in cui il Paese dovrebbe in qualche modo ripartire, riprendendo gradualmente le attività produttive, passo indispensabile per provare a riavviare un percorso di vita interrotto bruscamente lo scorso sette marzo.

Sarà tutto come prima?

Nemmeno per sogno; anche quando la pandemia sarà dichiarata conclusa – un vaccino è di là da venire – le vite di ciascuno di noi subiranno mutamenti sostanziali e quasi tutti negativi.

Lo si diceva la volta scorsa: nessun settore è stato e sarà risparmiato, ma alcuni soffriranno di più e più a lungo. È di ieri la dichiarazione – subito avallata e rilanciata dal presidente del consiglio – del professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, che senza giri di parole ha affermato che non ci saranno spettacoli dal vivo fino all’arrivo del vaccino.

Parole di eccezionale gravità che gettano bagliori foschi e addensano nubi sulle teste di centinaia di migliaia persone – e sulle loro famiglie – che nel teatro lavorano.

Rincara la dose il ministro Franceschini che con voce garrula propone una sorta di “Netflix della cultura” (sic!) che dovrebbe supplire via etere o via web a teatri, sale da concerto, Case d’Opera, ma anche sale cinematografiche.

Ribattiamo con ordine.

Al professor Brusaferro, che tra l’altro invita ad andare in vacanza – nel caso qualcuno avesse ancora due soldi da parte per potersi permettere una pensioncina – in montagna perché al mare si sta troppo vicini e si suda, dando il colpo di grazia al già semidistrutto settore turistico, rispondiamo che evidentemente non sa neppure di cosa parla.

Come si può rinunciare alla socialità che sta alla base dello spettacolo dal vivo? Ha mai letto nulla di Grotowski, il professore? Evidentemente no, sennò saprebbe che il teatro – in ogni sua forma – ha senso e vive solo finché esiste interazione tra pubblico e artista.

Veniamo al Franceschini: non sa, il ministro, che da anni esistono canali e piattaforme dedicate alla musica e al teatro? Non conosce ClassicaHD? Ignora le trasmissioni di ARTE – canale franco tedesco di alto livello –?

Di MEZZO sa nulla? Ha mai sentito parlare di MEDICI.TV?

Si informi ministro, la prego, lo diciamo per lei, per evitarle figure barbinissime. Non che il resto del mondo stia meglio, ma se la Metropolitan Opera House mette tutti i dipendenti in aspettativa senza retribuzione, la Germania – lo si diceva nell’articolo precedente – schiera l’artiglieria pesante stanziando cifre multimilionarie a favore delle arti performative senza fare classifiche o distinzioni: i contributi raggiungono gli artisti freelance e anche i buskers.

L’Austria prova a tenere duro e, a fronte di cancellazioni a raffica di Festival europei – da Bayreuth a Edimburgo, da Aix-en-Provence a Orange – tenta di mantenere le date del Festival di Salisburgo, che tra l’altro festeggia il centenario quest’anno. In Italia, complice l’incertezza e la comunicazione claudicante della politica – senza distinzione di schieramento – fa precipitare le produzioni estive in un limbo d’incertezza. Lo ripetiamo: i cantanti, gli attori, i coristi, gli orchestrali, i registi, gli scenografi, i costumisti, gli attrezzisti, le sarte… mangiano, hanno affitti e bollette da pagare, figli che studiano, genitori da assistere.

Qualcuno pensa di includerli in qualcuno dei Decreti che spuntano più numerosi degli editti di Dolores Umbridge a Hogwarths – ci si perdoni la citazione potteriana –? Prima che lo spettacolo dal vivo muoia di fame si farà qualcosa? Chiosiamo, per ora, con un ulteriore motivo di sconforto: chi, a livello di cittadinanza – leggasi spettatori – si sta mobilitando in favore di queste categorie, è comunque in posizione minoritaria e spesso tacciato di snobismo da parte di quelli che fanno “lavori veri” e che all’opera o ai concerti o a vedere una commedia non vanno “perché è meglio una cena o una bevuta”. Chi può si dia da fare, perché il tempo stringe e la morte per consunzione è dietro l’angolo.

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