30 Maggio 2019 - 9.39

Il Movimento 5Stelle fra sindrome termidoriana e sindrome di Peter Pan

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di Umberto Baldo

Le elezioni europee sono state, così come hanno voluto i due leader Di Maio e Salvini, una sorta di referendum sulle proposte, ed anche sulla visione politica, del Movimento 5 Stelle e della Lega.
Ed il risultato, per una volta chiaro e inoppugnabile, è che gli italiani hanno preferito il messaggio del “capitano” (o “generale”) Salvini a quello del leader grillino.
Ma ridurre tutto a uno scontro personalistico rischia di fare concentrare la nostra attenzione “sul dito anziché sulla luna”.
Fuor di metafora, poiché la politica alla fine si misura in termine di consenso,  cioè di voti, la domanda è:  ma come è possibile che un Movimento politico dimezzi i propri consensi in meno di un anno? Come si giustifica un cedimento di questa portata?
A meno di non pensare ad un impazzimento improvviso degli italiani, una ragione deve pur esserci.
A mio avviso la prima causa del tracollo sta nel fatto che il Movimento 5Stelle non ha percepito una delle leggi fondamentali della politica, che non ne ha tante, ma qualcuna si.
E questa regola dice che quando si è arrivati al Governo, dopo aver cavalcato per anni l’onda lunga della rabbia e dei malumori degli elettori, non si può continuare come se non fosse successo nulla, non si possono condurre campagne elettorali come se si fosse ancora all’opposizione.
Di Maio ha invece optato nella campagna per le europee di perseverare in una impostazione “barricadera” non molto diversa, per toni e contenuti, da quelle viste in passato.
Forse non è il caso di sorprendersi vista la natura, l’ideologia, i programmi del Movimento, che paiono ispirati al giustizialismo, allo statalismo, al pauperismo.
Non va dimenticato in quest’ottica il famoso grido “onestà, onestà”, che è sicuramente un valore da perseguire, ma che in politica costituisce un elemento necessario, ma non sufficiente per governare la cosa pubblica.
In sostanza, che basti l’onestà per governare è una pia illusione, perché senza esperienza e senza visione politica delle cose da fare, non si va da nessuna parte, se non verso il blocco del Paese.
Va poi considerata quella che io chiamo “sindrome termidoriana”.
Per chi non ricordi, preciso che il termine “termidoro” (che era il nome  di un mese del nuovo calendario introdotto dalla Rivoluzione francese), in storia viene utilizzato con riferimento agli avvenimenti del 9 Termidoro 1794, quando tre importanti leaders rivoluzionari e membri del Comitato di Salute Pubblica come Robespierre, Saint-Just e Couthon vennero arrestati con un decreto d’accusa votato dalla Convenzione (l’Assemblea legislativa) e condannati a morte senza processo, insieme a diciannove loro seguaci.  La svolta del 9 termidoro non liquidò le conquiste della rivoluzione francese; semplicemente pose fine al periodo del “terrore” instaurato da Robespierre, trasferendo il potere verso giacobini più moderati e conservatori.
Per carità, non personalizziamo le cose, accostando Robespierre a politici attuali!   Non c’entra nulla!
Ma Termidoro mi serve per ipotizzare che gli italiani sembrano aver superato la fase del “vaffa….”, e  da un Partito cui hanno dato nel 2018 il 32% dei consensi  vorrebbero avere precise risposte su alcuni fondamentali problemi del Paese, e non “approfondimenti sui costi-benefici” tanto per fare un esempio.
I 5 Stelle danno l’impressione di vivere ancora in un’atmosfera da esaltazione giacobina, mentre Salvini mostra di avere capito che, dopo la rivoluzione del 4 marzo, negli italiani pare essere nata  la “voglia di Termidoro”, cioè di un inquadramento costruttivo dell’azione di governo. In cui bisogna dire anche dei “si”, e non solo “no”.
E quel 34,4% ottenuto domenica sembra dargli ragione.
Intendiamoci, non penso affatto che il M5S possa diventare un Partito come gli altri.  Vorrebbe dire chiedere loro di snaturare l’idea che sta alla base del loro essere.   Ma pensare di continuare con un partito liquido non porta a nulla, se non alla progressiva consunzione.
Non va negato al Movimento il merito di avere, fin dalle elezioni del 2013, incanalato nelle Istituzioni una rabbia dei cittadini che in altri Paesi è sfociata in rivolte e scontri di piazza, tipo i gilet jaunes in Francia.
Ed io sono convinto che, se dopo le elezioni del 2018, invece del governo giallo-verde fosse sorto un accrocchio di palazzo,avremmo avuto non i gilet gialli ma i forconi, che sono più tipici della nostra tradizione, e che abbiamo visti agli incroci delle strade qualche anno fa.
Io credo che le elezioni europee segnino un punto di svolta per il Movimento 5 Stelle, che si trova ora di fronte ad un bivio.
Se continuare a vivere in una fase di “sindrome di Peter Pan” permanente, oppure cercare di adottare un profilo di Governo, che possa rassicurare gli italiani, e i ceti produttivi soprattutto, sulla loro affidabilità.
E per fare questo è indispensabile una profonda riflessione che porti il Movimento a chiarire una volta per tutte quali riforme intendano portare avanti, anche quelle meno digeribili per loro fra quelle proposte dalla Lega.
Solo per fare un esempio, non potranno continuare a lungo ad avversare “fumosamente” la proposta di maggiore autonomia regionale, senza spiegare veramente quali sono i punti su cui concordano e quelli su cui dissentono. Come pure dovranno ben dire ad un certo punto a quali infrastrutture (Tav, pedemontane ecc.) sono disposti a dare il via libera.
Diversamente continueranno sempre ad essere un movimento sempre più “meridionalista”, ma con trend elettorale al ribasso.
Ciò comporta anche una elaborazione di una matrice ideologica e programmatica, perché è evidente che non si può  portare avanti un Partito avendo come riferimento cultural-ideologico un “contratto di Governo” e la piattaforma informatica gestita da Casaleggio.
In ogni caso non sarà un processo facile, perché il Movimento 5 Stelle ha pescato i suoi consensi un po’ in tutte le aree sociali, cavalcando in particolare tutti i dissensi e tutti i Movimenti “NO a qualcosa”.  E pensare di governare senza scontentare nessuna di queste componenti è pura utopia.
Per finire, una qualche riflessione andrà fatta anche da Capitan Salvini.
Il quale deve evitare di considerare “acquisito” il consenso ottenuto domenica. In questa nostra epoca il voto è liquido e mobile, proprio perché non esiste più il legame dell’ideologia che caratterizzava i partiti della Prima Repubblica.
Molti elettori, in Sicilia piuttosto che in Veneto  domenica hanno votato Lega indipendentemente dalle loro idee politiche e dai richiami alla Madonna,  solamente perché vogliono una scossa all’azione di questo governo; in altri termini scelte chiare su economia, fisco, infrastrutture, oppure tutti a casa.
Guada caso le stesse motivazioni che li hanno portati ad abbandonare il Movimento 5 Stelle.


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