24 Marzo 2020 - 14.15

“Il mio regno per una mascherina”

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“Il mio regno per una mascherina!”.   Questa l’invocazione che forse Shakespeare avrebbe messo in bocca a Riccardo III, al posto del “Il mio regno per un cavallo”, qualora avesse scritto l’omonima opera teatrale di questi tempi.Penso che se c’è un elemento che meglio di ogni altro mostra il “declino dell’occidente”, o meglio del modello produttivo basato sulla delocalizzazione, sia proprio la penuria di questo bene, che l’epidemia da coronavirus sta trasformando in una vera e propria arma geo-politica. Non stiamo parlando di alta tecnologia, di mezzi spaziali, di centrali nucleari, di reti informatiche.  Stiamo parlando di beni che non richiedono alta specializzazione, tanto è vero che in questi giorni, di fronte all’emergenza, si sono messe a produrle anche aziende che facevano pannolini per bambini, o addirittura stampavano libri; per non parlare delle suore nei conventi.Ma la mascherina ha un altissimo valore psicologico, perchè, indipendentemente da quello che ci viene detto dagli scienziati circa la sua effettiva utilità, rappresenta nel nostro ”sentire” la sicurezza e la protezione da questa nuova pandemia.Fino ad ora la mascherina l’avevamo vista indossata solo in certi Paesi altamente inquinati, tipo la Pechino di qualche anno fa, e molto raramente dalle nostre parti.   E, diciamoci la verità, vedere qualcuno bardato con la mascherina  fino ad ora attirava la nostra attenzione,  e non sempre benevola. Improvvisamente, da metà febbraio le nostre strade si sono trasformate in una sorta di set cinematografico, in cui le comparse sono per buona parte dotate di questo strumento di protezione. E, per essere onesti, dobbiamo confessare che quando ci rechiamo “in maschera” al supermercato, il vederci circondati da nostri simili “mascherati” e “guantati” ci rassicura, eccome se ci rassicura! I Paesi occidentali hanno senza dubbio i migliori medici, i sistemi sanitari più sofisticati, gli ospedali più attrezzati.Eppure sono stati travolti dal Covid19, con gli operatori sanitari in primis gravemente sprovvisti dei più elementari presidi di protezione: mascherine appunto, ed equipaggiamenti come le visiere e le tute.  E relativamente all’Italia questo spiega il grande numero di medici e personale sanitario infettati (circa il 12%).Non mi sento di parlare di sottovalutazione, ma resta comunque il fatto che dal 31 gennaio, quando il Governo decise lo stato di emergenza, al 25 febbraio, quando venne emesso il primo provvedimento della Protezione Civile per fronteggiare la pandemia, sono trascorsi ben 25 giorni in cui forse si sarebbe potuto fare qualcosa di più, almeno sul fronte approvvigionamenti. Ed ancora il 27 febbraio il premier Conte, partecipando alla trasmissione “Otto e mezzo” ebbe a dichiarare che l’Italia era “prontissima a fronteggiare l’ emergenza”, in quanto il nostro Paese aveva adottato “misure cautelative all’avanguardia” e “tutti i protocolli di prevenzione”.Forse nessuno aveva ancora spiegato a Conte che quanto a mascherine, che sono l’ “a,b,c” della prevenzione, eravamo alla “canna del gas”.“Un bel tacer non fu mai scritto”, e i politici italiani dovrebbero fare tesoro di questo proverbio, evitando di sproloquiare continuamente sui media al solo scopo di aumentare la loro visibilità. Ma tornando ai nostri “presidi sanitari”, le mascherine appunto, fino all’insorgere della pandemia in Italia c’erano solo pochissime fabbriche specializzate per di più solo nella produzione delle mascherine di altissima qualità, e di quelle ad uso chirurgico.   Tutte insieme avevano una capacità produttiva di 20.000 pezzi al mese.Anche la Cina, da dove è partito il coronavirus, all’inizio della pandemia ha avuto carenza di mascherine.Prima del Covid19 il gigante asiatico ne produceva 20 milioni di pezzi al giorno, per tutti gli usi, da quello sanitario a quello industriale, a quello anti-inquinamento.Avendo il regime prima “consigliato” e poi “ordinato” alla popolazione di portare la mascherina, 20 milioni di pezzi quotidiani erano palesemente insufficienti.Ma nel giro di pochi giorni i pianificatori dell’economia statale centralizzata hanno mobilitato le grandi aziende automatizzate, comprese quelle tecnologicamente molto avanzate, tipo l’industria aeronautica o quella che assembla gli Iphone, “inducendole” a riciclare alcune linee di produzione. Oggi la Cina produce 120 milioni di mascherine al giorno, e può permettersi di usarle come strumento di politica estera.Anche in Italia per la verità è in atto una riconversione di alcune aziende verso la produzione di mascherine, ma non è facile.La Grafica Veneta di Trebaseleghe (quella di Herry Potter), la Orsa Group di Gorla Maggiore, la Miroglio di Alba, sono fra le prime aziende ad aver dedicato parte delle proprie linee produttive alle mascherine. Ma si tratta di quelle di tipo chirurgico, quelle che servono per non contagiare gli altri.  Riconvertirsi per produrre quelle con filtro, le Fpp2 ed Fpp3, è più complicato.  Tanto per capire di cosa stiamo parlando, solo negli ospedali della Lombardia di questi tempi servono 300mila mascherine con filtro al giorno.Di fronte all’incalzare degli eventi, c’è da aspettarsi che da oggi in poi sulle certificazioni richieste ai produttori si sarà un po’ meno rigidi rispetto al passato.Ma al di là della contingenza, c’è un punto delicato che impone a mio avviso un ragionamento.La pandemia ha messo sotto pressione le catene di fornitura globale sia dei prodotti medicali, come mascherine e tute, sia di quelli farmaceutici, mettendo in luce una evidente strozzatura. Per capirci meglio, negli Stati Uniti circa l’80% dei principi attivi farmaceutici proviene da tutto il mondo, compresa la maggior parte dei generici, con Cina ed India leader del mercato. In Cina ci sono più di 600 impianti che lavorano per il mercato nordamericano.  C’è da dire che fino ora l’India è solo stata sfiorata dal coronavirus, e c’è da incrociare le dita, perchè è chiaro che qualora l’epidemia si espandesse anche nel subcontinente indiano, potrebbe prevalere una politica protezionistica, con il blocco delle esportazioni.E di fronte alla “solidarietà” dimostrataci in questo momento di bisogno da Stati quali la Repubblica Ceca, c’è poco da stare allegri, per cui sarebbe opportuno attrezzarci per il futuro.Che non può essere all’insegna del “si salvi chi può”.Poiché stiamo toccando con mano che epidemie mortali non sono un retaggio del passato, su cui esercitare la ricerca storica, ma sono possibili anche nel mondo attuale, troverei quanto meno indispensabile fare tesoro di quanto sta accadendo, correggendo la “globalizzazione” almeno nel settore più “strategico” per un paese, quello dei presidi per la sanità pubblica.Ciò per evitare di vedere anche nel futuro gli italiani a caccia di mascherine, evitando, come sta accadendo, che qualcuno se le costruisca in casa, o qualcun altro le prenoti on line sperando in un improbabile recapito.Parlavamo all’inizio di “declino dell’occidente”.E poiché la politica non tollera vuoti, questa situazione sta già avendo ripercussioni nella politica globale. Nel senso che altre potenze, approfittando della conclamata incapacità dell’Europa di aiutare il nostro Paese, almeno all’inizio dell’epidemia, stanno fornendo assistenza e materiale sanitario.  Così la Cina sta spedendo medici e farmaci, e la stessa cosa stanno facendo Russia e Cuba.Hai voglia a dire che questo non conterà nei futuri equilibri politici globali!Gli atteggiamenti degli Stati, che si traducono alla fine nella politica estera, funzionano un po’ come quelli di noi esseri umani.E come noi non ci dimentichiamo di chi nel momento del bisogno ci ha dato una mano, così le Nazioni guardano con occhi diversi gli Stati che hanno fornito aiuto e vicinanza nei passaggi difficili. Certo, esercitando un po’ di cinismo, si può pensare che la Cina in particolare si  stia muovendo per un calcolo politico; facendo ad esempio delle mascherine un’arma geopolitica.Pechino ha bisogno di recuperare la propria immagine, offuscata da “colpevoli reticenze” nella prima fase della pandemia.E poiché, nel bene e nel male, le mascherine sono diventate un po’ l’oggetto simbolico della guerra al coronavirus, la Cina si sta muovendo per rifarsi l’immagine di “fabbrica del mondo”.Ma pur apprezzando lo sforzo e gli aiuti cinesi, sarà bene invece interrogarsi sui rischi derivanti dal far produrre tutto in Cina.E non si tratta di tornare all’autarchia; si tratta di buon senso!

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