25 Febbraio 2020 - 9.44

I teatri ai tempi del virus

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di Alessandro Cammarano

C’è poco da scherzare e meno ancora da ridere; vivere ai tempi di un’emergenza sanitaria – il sottoscritto non è in grado di definire se si tratti di epidemia, pandemia, o altro – è tutt’altro che semplice. L’arrivo del COVID-19, meglio noto come Coronavirus, sta profondamente mutando, e non sempre a ragion veduta, gli stili di vita degli italiani, costretti un po’ per necessità e prudenza un po’ per psicosi a riorganizzare le loro attività. Un esempio tra i tanti: a Milano, città semi-blindata, mi dicono non si trovi una baby-sitter che sia una e non sempre i gli onnipresenti e preziosissimi nonni sono sufficienti ad occuparsi dei nipoti – forzosamente a casa visto che le scuole sono chiuse – mentre i genitori si recano al lavoro. Può sembrare una considerazione sciocca ma a ben guardare è specchio di un momento tutt’altro che facile.

La stampa, quasi sempre a torto, si becca contumelie di lettori che sempre più di frequente se ne escono – ovviamente a mezzo social – fantasticando di teorie complottrarde stile SPECTRE e con frasi del tipo “non ci stanno dicendo tutto”; roba che l’isteria per la peste descritta da Alessandro Manzoni viene derubricata a modesta alterazione degli umori del pubblico. I giornali – soprattutto quelli locali, che sono a contatto stretto con il territorio – non fanno allarmismo: se le autorità, centrali o periferiche che siano, emanano un’ordinanza vietando o limitando alcune attività quale sarebbe la ragione di non darne notizia o, peggio, di manipolare la notizia stessa? Follie da psicosi. Certo che l’idea di chiudere i bar e i pub alle 18, lasciando aperti i ristoranti – cosa che accade in Lombardia e in Liguria – è parecchio curiosa, ma evidentemente qualcuno ci avrà studiato su. Tutti devono fare la loro parte, lo si voglia o no siamo in una situazione eccezionale, anche le premurose mamme che si indignano per la sospensione delle iniziative legate al Carnevale e si lamentano perché il loro frugolo non potrà indossare il costume da Teen Titan o la piccina dovrà rinunciare a travestirsi da renna di “Frozen” se ne dovranno fare una ragione.

Nessuno è escluso – tranne i supermercati, che se fossero chiusi sarebbero assaltati e saccheggiati in puro Caracas-style – tutti devono fare la loro parte, anche i teatri.

Già, i teatri, prosa o opera che sia, le sale da concerto e i cinema; magari ci pensano in pochi, ma sono tanti i lavoratori dello spettacolo, davvero tanti. Il sottoscritto si occupa di musica e da almeno tre giorni ha la casella di posta affollata di e-mail di Fondazioni liriche, società concertistiche e istituzioni culturali, che comunicano la sospensione di tutte le attività artistiche. Non esistono solo le fabbriche o gli uffici; una fondazione lirica impiega centinaia di persone tra orchestrali, coristi, ballerini, personale amministrativo e tecnico; tutte persone che hanno la stessa necessità di lavorare di un ragioniere o di un ingegnere. In molti – e ne ho esperienza personale – ritengono che le professioni legate all’arte non siano lavori “veri” semplicemente perché non ci si sporcano le mani. Ad amici strumentisti o cantanti è stato chiesto “sì ma di lavoro vero cosa fa?”; beh, alla fine di un concerto un orchestrale è stanco esattamente quanto un operaio a fine turno, sappiatelo.

Per un teatro d’opera cancellare una recita è un costo rilevantissimo. Il buffo è che – e limitiamoci al Veneto – gli eventi sportivi come le partite di calcio e gli eventi legati al Carnevale sono stati vietati almeno due giorni prima di quanto non sia stato fatto per i teatri ed i cinema, forse ritenuti isole felici ed esenti dalla possibilità di contagio: a ben vedere anche la pubblica amministrazione sembra considerare quella dello spettacolo un’attività di secondo piano se non marginale, tanto da “dimenticarla”. Il sottoscritto, non più tardi di domenica scorsa, ha assistito ad una rappresentazione d’opera al Teatro Filarmonico di Verona, apertissimo, quando le feste di piazza e la partita di calcio al Bentegodi erano state cancellate da ore: il sindaco scaligero sa che in città ci sono teatri che funzionano anche d’inverno e non solo l’Arena? Chiudiamola con un sorriso: domenica a teatro – a parte un móna con una mascherina modello Hannibal Lecter esibita con sussiego – il pubblico ha goduto di un bellissimo spettacolo e lo ha fatto senza un singolo colpo di tosse e neppure una soffiata di naso.

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