16 Settembre 2019 - 9.48

I ‘negozi de na volta’ di Vicenza

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di Alessandro Cammarano

Prima di affrontare il tema odierno un preambolo è d’obbligo: la Vicenza di oggi è bellissima, viva, più cosmopolita di un tempo, maggiormente aperta alle novità e agli spunti esterni; tutto questo è andato però, almeno in parte a snaturare alcuni degli aspetti – che potrebbero all’apparenza sembrare marginali – ma che in realtà sono intimamente parte dell’essenza stessa della città.

“Ma questo succede ovunque!” obbietteranno i lettori, proseguendo subito dopo con un lapidario “Ma quanto è vecchio questo cantore del passato!”; ebbene, deludiamoli subito: non bisogna essere coetanei dell’Abate Zanella e della sua conchiglia fossile per ricordare alcuni aspetti che caratterizzavano la città e che si sono dissolti nell’omologazione.

Il discorso si fa pericoloso e pure un filino noioso, quindi ravviviamolo concentrandoci su un aspetto particolare: i vecchi negozi e i loro proprietari, ovvero come rompere il sigillo e aprire il vaso di Pandora dei ricordi.

Corso Palladio ospitava, poco dopo la Chiesa dei Filippini la meravigliosa boutique “Spagnolo Olga” fondata con tutta probabilità quando sul Corso, all’epoca ancora Cardo Massimo, transitavano matrone in portantina e patrizi a cavallo. In vetrina abiti rigorosamente accollatissimi, di tessuti rassicuranti che facevano contrasto a fantasie veramente fantasiose, ricche di richiami preraffaelliti e corredate da accessori di chiara derivazione longobarda. All’interno solo un banco, tanto da far pensare che l’unica merce fosse quella dell’ombrosa vetrina, e invece no! I vestiti erano furbescamente custoditi in armadi di radica che coprivano la parete di fondo e le due laterali e pronti a schiudersi per rivelare un paradiso di sete e lane finissime pronte a fasciare le dame nobili e le signore dell’alta borghesia berica.

Poco più avanti, e risalente ad un’era geologica successiva, si trovava, subito prima di Standa – che per decenni fu l’unico supermercato del centro storico – il piccolo ma fornitissimo “Mapa Sport”, che rivaleggiava con il più grande emporio di Piazzale De Gasperi; di fronte il paradiso della “Perugina”, tutto blu di parati e moquette e con le alzatine di Tre Re e Baci sempre freschissimi a fare da corona ai piccoli Grifone.

Anche le mercerie andavano forte parecchio: su Corso Fogazzaro “Andrea Levis” vendeva tutto il necessario per confezionare, modificare e rattoppare qualsiasi indumento mentre in Santa Barbara la spettacolare merceria “Simionato” esponeva le spagnolette di filo come se fossero capolavori di una collezione d’arte; accanto a Simionato le “Sorelle Beltramello” si occupavano di distintivi militari, bottoni e alamari da divisa e da uniformi da lavoro, baschi di tutti i corpi dell’Esercito e altre meraviglie. Li ho davanti agli occhi le Beltramello e il signor Simionato.

Anche le botteghe alimentari andavano forte: la “Drogheria del Corso” dove il veleno per i topi si accompagnava maliziosamente alle caramelle e le scope di saggina facevano da scorta al caffè in grani, il tutto in una miscela di odori e aromi strepitosa.

Araldo Geremia era il re assoluto della “Casa del baccalà” oltre a prestare il suo volto irregolare ed espressivo ad alcune comparsate di lusso nei film che si giravano in città ai tempi d’oro della commedia all’italiana. L’aroma di stoccafisso era preponderante, tanto da profumare anche la mostarda vicentina e la sopressa, ma faceva parte del gioco: quando si entrava da Araldo si usciva comunque un po’ baccalà.

Mi mancano, tutti, anche se adesso posso cambiare a Vicenza le mutande che ho comprato a Palermo, dato che la catena è presente anche su Marte; son soddisfazioni.

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