29 Ottobre 2020 - 10.44

Gli “angeli della sanità: non chiamiamoli “eroi”, piuttosto rispettiamo le regole anche per loro

Io credo che, quando fra qualche anno qualcuno vorrà ricordare il tragico periodo che stiamo vivendo oggi a causa del Covid-19, lo farà riesumando le foto degli operatori sanitari stremati dopo il turno di lavoro.E’ avvenuta la stessa cosa negli Usa dopo l’11 settembre 2001, quando i protagonisti di quel trauma nazionale divennero i vigili del fuoco. Uomini che si sacrificarono per salvare centinaia di persone coinvolte nel crollo delle Twin Towers.  Furono definiti “eroi”, che non solo si sacrificarono in occasione degli attacchi terroristici, ma che continuarono a morire anche dopo.  Si calcola che siano stati almeno 343 i vigili del fuoco, e 241 gli agenti della polizia di New York, ad aver perso la vita negli anni successivi per conseguenze connesse a quel disastro.Tornando a noi, alcune foto sicuramente passeranno alla storia come immagini simbolo della pandemia del 2020.Il primo scatto risale al marzo scorso, e ritrae Elena Pagliarini, infermiera del Pronto soccorso dell’ospedale di Cremona, fotografata da una collega medico, la dott.ssa Francesca Mangiatorti, quando a fine turno, sfinita, si era addormentata con la testa sulla tastiera del computer, con la mascherina e il camice ancora indosso.Ricordò poi Elena: “Era l’8 marzo, le 6 di mattina, la Festa della donna. Durante la notte era successo di tutto, una notte fatta di corsa tra i letti dei pazienti gravi che con i loro sguardi angosciati chiedevano aiuto e non capivano cosa stesse succedendo. Avevo anche pianto”.A marzo la foto di Elena, l’ “infermiera eroina” come venne definita, divenne il simbolo dell’epidemia in Italia, ma la sua storia è simile a quella di migliaia di suoi colleghi che nei giorni dell’emergenza hanno messo il lavoro in corsia davanti ad ogni altra cosa.  E molti di loro, troppi, si sono infettati e non sono sopravvissuti. Era giusto, e aggiungo anche doveroso, sperare che quell’immagine appartenesse al passato, ma purtroppo non è così.In queste ore c’è un’altra foto iconica che sta imperversando sui social. Una foto che immortala medici ed infermieri del 118 di un ospedale di Cagliari, alle prese con la seconda ondata della pandemia.  Una foto che mostra questi operatori sanitari stremati seduti su una panchina, confinati nelle tute protettive bianche, con guanti e soprascarpe, con i volti irriconoscibili perchè celati da maschere e occhiali, costretti a code estenuanti davanti alla struttura sanitaria in attesa di poter affidare il paziente ai colleghi.  Ci sono immagini che valgono più di mille parole.  Sicuramente lo scatto di Cagliari è una di queste, perchè mostra questi uomini e queste donne, bardati come astronauti, che loro malgrado stanno rivivendo la stessa situazione che portò al lockdown.Purtroppo quanto documentato a Cagliari in questi giorni non è l’eccezione, bensì quasi la regola. Immagini simili sono comuni in tutte le Regioni italiane.  A Palermo quella di una infermiera sfinita addormentata sul volante dell’ambulanza, dopo aver trascorso otto infinite ore in attesa di entrare al Pronto soccorso dell’ospedale Villa Sofia.A Bologna, quella di un infermiere nella corsia del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Sant’Orsola, postata su Facebook da Antonio Gramegna, coordinatore infermieristico di quel reparto.  Accompagnata da un post con queste parole: “Lui è l’immagine di tanti infermieri che stanno rivivendo lo stesso film di marzo. Io lo osservo e mi rendo conto, in questo suo atteggiamento raccolto prima di entrare in camera, quanta preoccupazione c’è”. Infine un accorato appello: “A voi tutti chiedo con forza di non chiamarci eroi ma di adottare comportamenti che prevengano i contagi. Questo è l’unico modo possibile che avete per esprimere la vostra riconoscenza all’impegno e alla dedizione che ogni giorno mettiamo”.In quel “non chiamateci eroi, ma sosteneteci rispettando le regole anti contagio” è riassunto tutto il dramma di questi “angeli della sanità”.Nella sua opera teatrale “Vita di Galileo” Bertold Brecht scrive: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.  Forse è vero, ma a mio avviso è ancora più sventurata la terra che ha bisogno di mitizzare persone che fanno il loro dovere.  Perchè è una terra che ha bisogno di pensare che chi si impegna duramente nel proprio lavoro abbia un qualcosa di sovraumano, diventando così una sorta di “eccezione”.Oggi, come nei mesi scorsi, questi medici ed infermieri sono in certo qual modo “costretti” all’eroismo, perchè sono chiamati non solo a colmare lacune e carenze delle strutture sanitarie che chi poteva non ha saputo adeguare, ma anche e soprattutto a fare fronte ai comportamenti irresponsabili di coloro che non vogliono mettersi in testa che questa è un’epidemia epocale, che mette a rischio la vita di molti.Questi uomini e queste donne in questa fase non hanno bisogno di medaglie, per quelle ci sarà tempo dopo, ma di fiducia, di appoggio, di vicinanza.Non serve a nulla chiamarli eroi, scaricandoci così la coscienza, ma occorre riconoscere loro stipendi dignitosi, materiali adeguati, e strutture sanitarie all’altezza.  Questo è il vero modo per ringraziarli, per dimostrare il nostro orgoglio per il loro impegno. Perchè rappresentano la parte buona della nostra società, quella che mette a disposizione di tutti competenze e capacità, quella che non va in televisione a sproloquiare nei “talk show” ma lavora in silenzio ogni santo giorno, quella che non si tira indietro, quella che “non tiene famiglia”.Per questo è comodo ed ipocrita definirli eroi, magari commuovendosi di fronte alle immagini che li vedono protagonisti, e poi andare in giro per movide senza protezioni. E sia chiaro, non perchè il loro impegno non rasenti in certi casi l’eroismo, ma perchè il vezzo di questa nostra Italia è quello di rendersi conto dei problemi solo quando la casa è già in fiamme.Un Paese che si accorge che il personale sanitario serve soltanto nel momento del bisogno, come quando nei mesi scorsi sono stati richiamati anziani già in pensione, o assunti ragazzi per mettere una toppa alla voragine dell’emergenza.  Un Paese che ha la memoria corta, che inneggia all’eroismo quando le corsie traboccano, o le terapie intensive sono al collasso, ma che poi non riesce a rinnovare i contratti della sanità,  che non programma gli organici, che lascia gli specializzandi nel limbo.Non abbiamo bisogno di eroi, ma di professionisti competenti, di persone per bene che sappiano sacrificarsi per aiutare gli altri. Ma queste persone le abbiamo già, e sono quelle immortalate nelle foto cui accennavo all’inizio.Ringraziamoli, e ricordiamoci di loro anche quando, speriamo presto, tutto questo sarà finito.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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