12 Novembre 2019 - 10.33

Ex Ilva, allarme rosso

Rischia di essere una nuova bomba sociale pronta a scoppiare da un momento all’altro con un esubero di circa 5 mila lavoratori se non verrà assicurata in tempi brevi la continuità aziendale.

Un addio quello di Arcelor Mittal che sa tanto di beffa nei confronti di uno Stato privo di una classe dirigenziale valida e capace di traghettare la nave fuori dal mare in tempesta, una classe dirigenziale che guarda più ad interessi elettorali piuttosto che al bene del Paese, impegnata ad accusarsi a vicenda di colpe che alla fine sono di tutte le forze politiche ma che alla fine rischiano di colpire solo il contribuente.

Di tutte queste vicende nostrane Mittal se ne frega dicendosi pronta a riconsegnare aziende e dipendenti ai commissari straordinari.

Forse, per Arcelor Mittal, Taranto è stata solo una delle tante filiali di un impero il cui baricentro è da tutt’altra parte e sacrificabile in qualsiasi momento indipendentemente dagli impegni assunti, un’azienda ceduta forse troppo frettolosamente a stranieri dimenticandosi che il nostro Paese molte volte ha soddisfatto il proprio fabbisogno interno esportando acciaio.

La scusa che ha portato Arcelor Mittal a disattendere i propri impegni è la cancellazione da parte del Parlamento dello scudo penale di cui godevano gli amministratori dell’Ilva nel realizzare il piano ambientale con cui lo stabilimento dovrebbe essere messo a norma rispetto alle leggi sull’inquinamento.

Non va altresì dimenticato che si sta parlando di una delle acciaierie più grandi d’Europa, che però a causa delle tante emissioni inquinanti del sito produttivo ha causato nei decenni la morte di molti operai ed abitanti della città pugliese.

Trovare oggi delle soluzioni che garantiscano la tutela del lavoro e contemporaneamente della salute è come trovare un ago nel pagliaio cercato da un ceco rappresentato metaforicamente dai nostri governanti, dove la tristezza maggiore è nel dire che non si dovrebbe morire per cercare di lavorare e vivere.

Una grana non di poco conto per il nostro governo, che per una volta dovrebbe mettere da parte personalismi e cercare una soluzione condivisa da tutti per il bene comune, considerando che l’intero gruppo conta circa 14 mila dipendenti i quali perderebbero il lavoro se l’azienda venisse chiusa, senza contare le migliaia di persone e le decine di aziende che lavorano nell’indotto, per non dimenticare inoltre che l’acciaio prodotto è fondamentale per la nostra economia costretta in caso contrario a rivolgersi ad acciaierie straniere che vendono acciaio di qualità peggiore ed a prezzi più salati.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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