6 Novembre 2020 - 9.43

Elezioni presidenziali Usa: istruzioni per l’uso!

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di Stefano Diceopoli

Non fosse stato per l’epidemia da Covid-19 l’attenzione mediatica in questi giorni si sarebbe tutta concentrata sull’ elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America. Non che i media europei ed italiani non abbiano coperto questo evento, ma sicuramente le problematiche legate ai provvedimenti per contenere il contagio, hanno messo un po’ in secondo piano lo “show elettorale” americano.
Ma cosa sa l’italiano medio di come funziona il sistema elettorale degli Usa?
Pongo questa domanda perchè immagino siate anche voi frastornati dalla macchinosità della procedura elettorale, che presenta particolarità tali da renderla un “unicum” nel panorama mondiale.
Non è questo il luogo per scrivere un manuale di diritto elettorale nordamericano, ma credo possa essere utile fornirvi qualche indicazione per meglio capire perchè il giorno dopo le elezioni non sempre sia chiaro chi le ha vinte, e quindi chi sia il nuovo Presidente.
Ma andiamo con ordine, partendo dal diritto di voto.
In Italia, così come nella maggior parte degli Stati europei, hanno diritto al voto tutti i cittadini maggiorenni, che sono iscritti d’ufficio nelle liste elettorali.
In America non è così: possono votare solo coloro che si iscrivono di propria iniziativa alle liste elettorali. Iscrizione che molti Stati richiedono parecchi mesi prima dell’election day. Non solo: nel farlo ognuno deve dichiarare preventivamente anche l’appartenenza politica: democratico, repubblicano o indipendente.
Capisco che già questo possa crearvi qualche dubbio circa la segretezza del voto, ma da quella sponda dell’Atlantico gira così.
Gli elenchi degli elettori che si sono “iscritti” sono poi controllati da commissioni statali che cancellano le persone non idonee, ovvero con precedenti penali, interdette dai pubblici uffici, o ritenute non adatte per una serie di altri motivi. Le epurazioni ovviamente vanno a toccare la parte più povera della popolazione, cioè soprattutto neri ed ispanici. Un esempio tanto per capire di cosa parliamo. Nel 2000, quando divenne Presidente Bush Junior la Florida ha cancellato dalle liste 57.700 elettori, per la maggior parte neri e ispanici iscritti come elettori democratici. La vittoria andò al candidato repubblicano che sconfisse Al Gore per poco più di 500 (cinquecento) voti.
Ai nostri occhi di “europei” tale sistema può sicuramente apparire “poco democratico”, soprattutto perchè parliamo di quella che viene considerata la più grande democrazia del mondo.
Quando si vota? Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali cadono sempre, ogni quattro anni, di martedì.
Tra il 1788 e il 1845, ciascuno Stato dell’Unione stabiliva la data delle elezioni, senza preoccuparsi di “sincronizzarsi” con gli altri. L’unico vincolo era che le votazioni per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti fossero concluse entro il primo mercoledì di dicembre. Nel 1792 una legge stabilì che le votazioni avvenissero nei 34 giorni precedenti a quella data. Per capire tale scelta, va ricordato che la società americana era essenzialmente agricola: a novembre i raccolti erano terminati, ed era il momento più tranquillo per i possidenti terrieri e gli agricoltori. Segnalo che all’epoca votavano solo i bianchi, maschi, e proprietari di un pezzo di terra.
Questo caos durò fino al 1845, quando il Congresso decise di fissare una data unica per tutta l’Unione. Ed anche in questo caso a prevalere furono ragioni pratiche. La domenica era fuori discussione perchè era un giorno sacro da dedicare al riposo ed al Signore, il lunedì non poteva andare perchè avrebbe richiesto a molti elettori di partire da casa la domenica, in calesse, per raggiungere i seggi. Anche il mercoledì non andava bene, perché era giorno di mercato, e gli agricoltori non sarebbero stati in grado di andare a votare. Così si decise che il martedì sarebbe stato il giorno in cui gli americani avrebbero votato per eleggere il loro Presidente. Per la precisione “il martedì dopo il primo lunedi del mese di novembre”.
E così è rimasto, come se l’America fosse ancora quella dei Padri Pellegrini e delle prime colonie.
Venendo al meccanismo elettorale vero e proprio, per prima cosa è necessario individuare i candidati Presidenti. Questo è un problema “interno” a ciascun partito, che viene risolto con il sistema delle “primarie” in tutti gli Stati, alla fine delle quali, nel corso di una Convention nazionale, viene proclamato il candidato del Partito Democratico e quello del Partito Repubblicano, i due partiti storici che si contendono il potere sin dalla fondazione degli States.
Dopo una campagna elettorale estenuante, date le dimensioni degli Usa, si arriva finalmente al fatidico martedì dell’election day.
Ma se pensate che le stranezze siano finite qui, vi sbagliate.
Noi europei siamo abituati ad elezioni in cui, chiusi i seggi, dopo lo spoglio delle schede si sa subito chi ha vinto e chi ha perso, e ciò semplicemente perchè l’elettore vota o per l’uno o per altro candidato.
Negli Stati Uniti non è così perchè non è il voto popolare che è determinante per la vittoria, tanto è vero che nel 2016 Hillary Clinton ottenne 3 milioni di voti popolari più di Donald Trump, ma perse la Casa bianca. E parimenti nel 2000 Al Gore prese oltre mezzo milione di voti in più di George W. Bush, che risultò poi eletto.
Per vincere bisogna conquistare la maggioranza, 270 voti, del Collegio dei Grandi Elettori, che è una sorta di Collegio elettorale nazionale.
Questi Grandi Elettori sono 538, un numero pari alla somma dei senatori (100) e dei deputati (435) che compongono il Congresso, a cui si aggiungono altri tre rappresentanti del District of Columbia, dove si trova la capitale Washington.
A ciascuno dei 50 Stati che compongono la Federazione è assegnato un numero di Grandi Elettori in proporzione della popolazione residente, ed i cittadini quando vanno alle urne votano appunto per questi soggetti.
Va poi detto che in 48 Stati su 50 (esclusi Maine e Nebraska) i Grandi Elettori sono eletti con il sistema maggioritario. Vale a dire che il candidato che prende anche un solo voto in più degli altri, si porta a casa tutti i Grandi Elettori espressi dallo Stato. Insomma una sorta di “chi vince piglia tutto”.
E sono appunto questi Grandi Elettori che alla fine procedono alla votazione per designare il Presidente.
In realtà questo Collegio non si riunisce mai: i Grandi Elettori si radunano Stato per Stato “il lunedì successivo al secondo mercoledì di dicembre”, e votano per un candidato alla presidenza e uno alla vicepresidenza; poi comunicano a Washington la loro scelta, che si formalizzerà con il giuramento e l’insediamento del nuovo Presidente del 20 gennaio. Formalmente i Grandi Elettori sono liberi di votare per chi vogliono, senza vincoli di mandato, ma essendo essi espressione di uno dei due candidati, rarissimamente nella storia degli Stati Uniti un grande elettore ha votato per un Presidente diverso da quello del proprio partito. Essendo i Grandi Elettori assegnati sulla base della popolazione del singolo Stato, è evidente che per un candidato presidente vincere in California non è la stessa cosa che vincere ad esempio nel South Dakota. Ve ne potete rendere conto leggendo il numero dei Grandi Elettori divisi Stato per Stato: California (55), Texas (38), Florida (29), New York (29), Illinois (20), Pennsylvania (20), Ohio (18), Georgia (16), Michigan (16), North Carolina (15), New Jersey (14), Virginia (13), Washington (12), Arizona (11), Indiana (11), Massachusetts (11), Tennessee (11), Maryland (10), Minnesota (10), Missouri (10), Wisconsin (10), Alabama (9), Colorado (9), South Carolina (9), Kentucky (8), Louisiana (8), Connecticut (7), Oklahoma (7), Oregon (7), Arkansas (6), Iowa (6), Kansas (6), Mississippi (6), Nevada (6), Utah (6), Nebraska (5), New Mexico (5), West Virginia (5), Hawaii (4), Idaho (4), Maine (4), New Hampshire (4), Rhode Island (4), Alaska (3), Delaware (3), District of Columbia (3), Montana (3), North Dakota (3), South Dakota (3), Vermont (3), Wyoming (3).
Ecco spiegato perchè in queste ore Trump e Biden si accapigliano per strappare alcuni Stati chiave; che sono tali perchè hanno un numero di Grandi Elettori determinante per raggiungere la mitica soglia necessaria per essere eletti; appunto 270.
Tralascio volutamente il problema del “voto per corrispondenza” contro cui si sta scagliando Trump, paventando possibili brogli. Basti dire che, forse a causa Covid-19, quasi 100 milioni di americani hanno votato in anticipo rispetto all’Election Day. I problemi nascono dal fatto che il conteggio di questi voti è più lento perché le firme e gli indirizzi di elettori e testimoni devono essere controllati, e le schede elettorali devono essere spianate e inserite nelle macchine di conteggio. Oltre tutto alcuni Stati iniziano il processo di verifica molto prima del giorno delle elezioni, altri dopo. Un vero guazzabuglio di regole diverse, che ovviamente contribuisce ad appesantire un processo elettorale di per sé già farraginoso.
Ovviamente non ho la presunzione di avervi disvelato i misteri delle elezioni americane, ma spero di avervi fornito qualche indicazione in più per comprendere meglio le notizie che arrivano dagli Usa, che al momento sono ancora in bilico fra la vittoria di Biden (ipotesi molto probabile) e la riconferma di Trump (ipotesi non impossibile).
Rimane inevasa a mio avviso la domanda delle domande: vale a dire perchè negli Usa si continua ad applicare questo sistema elettorale così macchinoso?
Il motivo è prettamente storico.
La Costituzione americana infatti è stata redatta alla fine del ‘700, ed a quel tempo c’erano dei problemi “pratici” per un’elezione di questo tipo. All’epoca infatti erano solo 13 gli stati federati (non 50), ed era quindi più semplice decidere che ogni Stato inviasse fisicamente i propri rappresentanti a Washington a votare il Presidente, piuttosto che ogni cittadino scegliesse il “Comandante in capo” con un voto diretto.
Adesso sembrano differenze di poco conto, ma non deve essere sembrato così ai Padri costituenti.
Non si può comunque non notare che si tratta di un sistema elettorale disegnato per uno Stato fondamentalmente agricolo, che mostra tutte le sue crepe, ed il suo anacronismo, in una moderna democrazia del terzo millennio.
E ciò non solo perchè può dare vita a differenze di risultato tra voto popolare e voto del Collegio elettorale nazionale, non solo perchè induce i candidati a concentrare le proprie campagne elettorali solo su alcuni “swing states” (ovvero Stati-chiave per ottenere la vittoria), ma anche perchè dà un peso elettorale troppo elevato a Stati poco popolati, come ad es. il Wyoming, che risulta avere un peso quattro volte superiore rispetto ad uno più popolato come la California.
Il dibattito al riguardo resta aperto. Ma resta il fatto che, a quattro giorni dall’election day, è ancora tutto in alto mare, e potrebbe volerci ancora molto tempo per conoscere chi ha prevalso fra Donald Trump e Joe Biden.
Stefano Diceopoli

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