7 Giugno 2016 - 10.23

EDITORIALE – Voto nei Comuni, specchio di un elettorato smarrito

elezioni

Voto nei comuni, specchio di un elettorato smarrito

di Marco Osti

L’esito del voto alle elezioni amministrative di domenica 5 giugno ha dato segnali importanti, ma nessuno appare definitivo al punto da poter prefigurare un chiaro scenario di portata nazionale.
Senza dubbio le elezioni amministrative non sono e non devono essere considerate lo specchio di quello che accadrebbe in consultazioni politiche, però quando milioni di elettori si esprimono nel segreto dell’urna alcune indicazioni le danno e non possono essere ignorate.
Il Movimento 5 Stelle prende la scena, primeggiando a Roma con Virginia Raggi, conquistando il ballottaggio a Torino e mantenendo ovunque una presenza concreta.
Il Partito Democratico non vince, non avanza, ma tiene il giusto per poter competere a rimettere i propri sindaci uscenti, pur consapevole che a Roma, sebbene Giachetti abbia conquistato il ballottaggio staccando di qualche punto percentuale Giorgia Meloni, sarà molto dura recuperare sulla concorrente grillina.
Il centrodestra dimostra ancora una volta che diviso non va da nessuna parte, ma allo stesso tempo che le soluzioni per tenerlo unito sono complicate e passano solo dalla volontà di ripetere l’esperimento di Milano, l’unica tra le grandi città dove il centrodestra può ancora vincere, strappando al centrosinistra la vittoria, ma non a caso il candidato Stefano Parisi raccoglie l’appoggio di tutto lo schieramento.
È evidente che Berlusconi non è più in grado come un tempo di aggregare le varie componenti di quella che un tempo era la sua coalizione.
Lui aveva una funzione di collante, che ha funzionato per molto tempo, ma ha dimostrato come il suo dominio della scena era anche il limite del suo operato e di una coalizione priva di un successore e di una vera politica condivisa, unita solo per interessi diversi che poi si sono persi in più rivoli, nessuno preponderante.
Ci sono inoltre da considerare componenti specifiche territoriali.
A Milano si contrappongono due personaggi come Parisi e Sala, molto simili per immagine e provenienza manageriale, pertanto la scelta fra i due può essere stata effettivamente condizionata dalla scelta per lo schieramento che li supportava.
Questa osservazione può valere meno a Roma, dove il voto ai partiti tradizionali è stato molto condizionato da quanto avvenuto negli ultimi anni, dal fallimento dell’esperienza Alemanno, dalle vicissitudini negative di quella Marino e dalla relativa gestione da parte del Partito Democratico.
Una condizione certamente favorevole per Virginia Raggi, che ha raccolto un consenso largo e forse insperato nelle dimensioni, replicato però dai 5 Stelle solo a Torino, dove il voto a Chiara Appendino denota una presenza molto significativa del Movimento, che in altre parti ha tenuto, ma non ha fatto segnale tali exploit.
Nelle città in cui la protesta contro l’operato delle amministrazioni precedenti non era così forte, come a Roma, o il centrodestra non è arrivato al voto diviso, l’elettorato ha comunque mandato al ballottaggio centrosinistra e centrodestra, con l’eccezione appunto di Torino,
Nelle realtà in cui i 5 Stelle non hanno sfondato andrebbe quindi valutato quanto ha condizionato la gestione di situazioni che coinvolgono amministratori locali, come Pizzarrotti a Parma e Nogarin a Livorno, che hanno confermato la tendenza del Movimento a condizionare l’azione dei suoi amministratori.
Posto che già Virginia Raggi ha detto che farebbe un passo indietro in caso di una eventuale scomunica da parte di Grillo, restano forti dubbi sull’indipendenza con cui svolgerebbe il suo mandato se i cittadini romani, come pare, la preferissero a Giachetti al ballottaggio.
L’esito del voto non lascia inoltre del tutto sereno Matteo Renzi, perche, con i distinguo già detti tra elezioni amministrative e politiche, resta una situazione in cui il Partito Democratico tiene le posizioni, ma non prevale e deve prendere atto che le divisioni con la minoranza e le componenti di sinistra fuoriuscite, come ad esempio Fassina, non fanno perdere in modo chiaro, ma condizionano senza dubbio la possibilità di vincere.
Questa situazione produce effetti contenuti in elezioni amministrative, dove il ballottaggio potrebbe ricondurre gli elettori a votare per il loro schieramento di riferimento, ma potrebbe avere una portata molto più incisiva in votazioni meno preventivabili e più trasversali.
Ad esempio proprio quel referendum sulla riforma costituzionale di ottobre, che è ormai chiaro a tutti sarà il vero spartiacque sul futuro politico di Renzi e del Governo.
Insomma tante indicazioni, nessuna univoca.
Gli elettori sembrano come sospesi in attesa di qualche segnale più chiaro dai partiti, che devono probabilmente abbandonare tatticismi o inutili polemiche e iniziare a fare politica vera, su contenuti concreti.
Gli italiani se lo aspettano, se no le urne proseguiranno a registrare il loro smarrimento e il Paese continuerà a restare fermo.

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