4 Maggio 2019 - 15.42

Editoriale – Un Paese di fessi e furbi: e tu cosa sei?

Giuseppe Prezzolini soleva dire che “l’Italia è il Paese dei furbi e dei fessi”.
Vi starete chiedendo: io a quale categoria appartengo?
Se avete la pazienza di continuare a leggere, probabilmente alla fine riuscirete a darvi una risposta.


Partiamo dal “Reddito di cittadinanza”, la riforma che, secondo il vicepremier Luigi Di Maio, cancellerà la povertà nel nostro Paese.
Proposito senz’altro condivisibile e lodevole! 
Chi può essere contrario a dare un aiuto a chi non ha i mezzi essenziali per vivere?
Il problema è che, nel Belpaese, anche un concetto “facile facile” come quello di “povertà”, risulta piuttosto “fumoso”.
Il motivo?
Basta guardare i dati delle entrate fiscali, e vedrete che qualche dubbio verrà anche a voi.
I numeri, i freddi numeri che ci vengono periodicamente forniti dal Ministero dell’Economia e dall’Istat, ci dicono che l’Italia è un Paese povero, anzi poverissimo.
La conseguenza è che le tasse le pagano in pochi.
Le statistiche certificano che il 57% del totale dell’Irpef viene versato dai contribuenti che dichiarano redditi compresi fra 15mila e 50mila euro, che rappresentano circa la metà del totale.   Fa effetto vedere che ben 12,9 milioni di italiani dichiarano redditi al di sotto della soglia che obbliga al pagamento dell’Irpef.  Solo il 5,3% degli italiani dichiara un reddito superiore ai 50mila euro, arrivando così a pagare un’aliquota del 39%. Va sottolineato che 50mila euro di reddito lordo porta ad un netto mensile inferiore ai 3.000 euro; un reddito dignitoso per carità, ma sicuramente non tale da iscrivere il percettore fra i “nababbi”.  Anche alla luce del fatto che i nostri parlamentari e consiglierì regionali incassano ben più di 10mila euro al mese!  E nonostante tutto, le periodiche promesse di ridurre questi emolumenti si perdono sempre nei meandri del Parlamento. 
Non è che le cose siano molto diverse se spostiamo l’attenzione dai lavoratori “attivi” ai pensionati, moltissimi dei quali risultano sotto la soglia di povertà. Le pensioni inferiori ai 1.000 euro mensili rappresentano circa il 70% del totale, ma non va sottaciuto che molte risultano erogate a fronte di contributi inesistenti od irrisori, in quanto derivanti da attività in nero.
I dati fotografano quindi un Paese di disperati, tanto che uno si aspetterebbe torme di mendicanti laceri ed emaciati agli angoli delle strade a chiedere l’elemosina, e code chilometriche alle mense della Caritas.

La realtà quotidiana ci mostra che non è così, tanto è vero che, per fare un solo esempio, ad ogni “ponte” milioni di italiani si riversano nelle strade per raggiungere luoghi ameni. E se uno passeggia in certi “porticcioli” si chiede: ma quante barche possiede quel 5,3% di “ricconi” che dichiara più di 50mila euro l’anno?  E si potrebbe continuare con esempi del genere.
Vi assicuro che non intendo emulare il Berlusconi di qualche anno fa, quando parlava di ristoranti sempre pieni.  Ma è innegabile che i conti non tornano, e che il “Silvio nazionale” al riguardo non aveva poi tutti i torti.
La spiegazione non può essere che una sola, e sta nel fatto che l’Italia resta il Paese dell’economia sommersa.  Che secondo l’Istat vale circa 210 miliardi l’anno; che tradotti in tasse evase pesano per circa 108 miliardi (stime del Ministero dell’Economia).   E con questa evasione “strutturale” qualcuno ha il coraggio di ipotizzare una nuova “patrimoniale” per una ventina di miliardi necessari per sminare le clausole di salvaguardia che prevedono l’aumento dell’Iva.
Questo non vuol dire che in Italia non ci siano sacche di povertà! Ci sono e la collettività deve farsene carico in qualche modo.
Ma se le richieste di reddito di cittadinanza sono finora risultate molto inferiori alle stime, non è che molti che ne avrebbero teoricamente diritto non presentano la domanda temendo di attirare su di sé gli “occhi del Fisco”?  Vedi mai che lo Stato un giorno possa arrivare a proporti un impiego regolare, di quelli con i contributi e le ritenute alla fonte!  Meglio continuare a vivere nel sommerso!


Il dubbio che le statistiche fotografino una realtà “deformata” trova conferma se si guardano invece gli indicatori di ricchezza degli italiani, che risultano complessivamente di molto superiori a quella di altri Paesi occidentali.  Nel “Paese degli indigenti” il valore medio pro capite della ricchezza immobiliare è pari a 100mila euro (circa 6.300 miliardi in totale), e quella “finanziaria” a circa 74mila euro, sempre pro capite, (circa 4.400 miliardi complessivi).  Questo è, fra l’altro uno dei motivi che spingono gli investitori internazionali a comprare ancora i nostri Btp; alla peggio – pensano questi signori –  lo Stato metterà le mani nelle tasche degli italiani.Altro paradosso è che le domande per ottenere il reddito di cittadinanza sono ad oggi inferiori a quelle presentate dai contribuenti per aderire alla rottamazione ed al “saldo e stralcio” delle cartelle esattoriali.Ma come? Nel Paese della povertà diffusa si fanno le code per aderire all’ennesimo “condono”?  Addirittura costringendo i commercialisti a chiedere una proroga della scadenza per “eccesso di domande”?Non è che in realtà, più che un Paese di poveri, siamo un Paese di evasori?E qui torniamo ai “furbi e fessi” di cui parlava Prezzolini: “Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione, ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. – questi è un fesso”. 
Gli altri, quelli interessati non alla produzione della ricchezza, bensì alla sua redistribuzione, sono i furbi.

Inutile aggiungere che se il Paese tira avanti è merito dei fessi, che come abbiamo visto dal punto di vista fiscale sono una quota minoritaria della popolazione. 
La ripartizione fra furbi e fessi trova la sua sublimazione  proprio in tema di tasse.    Certe Regioni italiane, a guardare i versamenti Iva, sembrerebbero zone dove non si vende e non si compra nulla, e dove non ci sono attività economiche.  Uno Studio dell’Ufficio Studi della CGIA stima che in Calabria l’evasione sia al 24,2%, in Campania al 23,2%, in Sicilia al 22,2% e in Puglia al 22%. Dati completamente diversi al Centro-Nord: in Veneto il tasso di evasione si attesta al 13,8%, nella Provincia autonoma di Trento e in Friuli Venezia Giulia scende al 13,3%, in Lombardia al 12,5% per fermarsi al 12% nella Provincia autonoma di Bolzano.   Quindi, pochissimi pagano, e gli incassi sono irrisori. Ma guarda caso sono le zone dove le richieste del reddito di cittadinanza sono al top.  Quindi non si pagano le tasse, ma si pretendono le “elargizioni” della politica. Sono le zone a maggiore incidenza di “furbi”.
Francamente non so se la flat tax proposta dalla Lega, diminuendo teoricamente l’interesse a nascondersi al Fisco, possa ridurre l’imperante scandalosa evasione fiscale e contributiva.  Qualche dubbio al riguardo ce l’ho, ma solo perché a chi è abituato da sempre a non pagare nulla, anche un 15-20% potrebbe sembrare eccessivo.  E poi alle fine quali sono i rischi di un evasore nel Belpaese?  Di dover aspettare il prossimo condono?Mi limito ad osservare che lasciando le attuali aliquote alte, e distribuendo a pioggia senza controlli miliardi in assistenza, perché di questo si tratta, non si risolve sicuramente il problema.Allora, siete riusciti a capire se siete fra i furbi o fra i fessi?Alla fine di questo nostro ragionare possiamo sicuramente affermare che la realtà italiana non è quella che viene fotografata dalle statistiche dell’Istat.Forse sarebbe finalmente arrivato il momento di rendersi conto che il re è nudo.   E spetta ai nostri Governanti ripensare una nuova politica fiscale ed assistenziale.  Perché l’evasione, comportando un aumento del livello della pressione fiscale per i contribuenti che adempiono correttamente ai propri doveri fiscali, genera iniquità sociale, e mina i principi di solidarietà e legalità sui quali si fonda il patto tra lo Stato e i cittadini.

Ovviamente, lo dico scherzando, non si pretende lo facciano prima del “dies irae” del 26 maggio. Giorno in cui, secondo qualche nostro leader, le nuove Istituzioni comunitarie di ispirazione “sovranista” ci diranno: ma ragazzi, ma cosa volete che conti il vostro debito pubblico?  Spendete, spendete, come se non ci fosse un domani!  Solo che nessuno dice che il conto, “domani”, saranno i nostri figli e nipoti a pagarlo.  E non sarà un conto leggero!


VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA