15 Luglio 2019 - 12.50

EDITORIALE – Stragi del sabato sera: perché non usare la tecnologia?

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Stefano Diceopoli

Tragedia di Jesolo. Così titolava la nostra Tviweb riportando la notizia della morte in un incidente d’auto di quattro ragazzi sulle strade della nota località balneare. Ma era solo l’inizio di una strage, perché di questo si è trattato.

Un altro morto a Jesolo in un altro incidente, quattro vicino a Cesena, tra cui due minorenni, un’altra vittima e due feriti gravi a Genova Bolzaneto, due motociclisti deceduti a Caserta e Forlì.

Questo il resoconto di una notte che riporta l’orologio indietro di vent’anni, fra la fine degli anni ’90 ed i primi anni 2000, quando le prime pagine dei giornali sembravano mattinali di Questura.

Erano gli anni delle cosiddette “stragi del sabato sera”, con il loro corollario di funerali strazianti, e di genitori disperati.

Le presa di coscienza del fenomeno portarono all’introduzione di contromisure, tipo la patente a punti, ed all’attivazione di maggiori controlli sulle strade. Indubbiamente qualche risultato c’è stato; i giovani morti nel 2001 furono 917, scesi a 338 nel 2017 (-62%). Sempre troppi, intendiamoci, perché qui non parliamo di terremoti o disastri naturali imprevedibili, bensì di ragazzi che perdono la vita per non aver rispettato le regole del codice della strada, e del buon senso mi permetto di aggiungere. 

Colpisce infatti che secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità gli incidenti sono la prima causa di morte nella fascia di età fra i 5 ed i 29 anni, più dei tumori, dell’alcol e della droga.

Anche se, a onor del vero, alcol e droga sono una delle principali concause delle stragi del sabato sera.

Quindi dopo un trend positivo durato oltre un decennio, ora la mortalità sembra tornare a colpire nuovamente sulle strade. 

Si pone quindi il problema del cosa fare.

Bisogna innanzi tutto non accettare questi fatti come fatalità. 

Non può valere il noto “the show must go on”! 

Lo “spettacolo non deve continuare”, imperterrito ed indifferente a fatti che segnano profondamente la vita di migliaia di famiglie.

Non si tratta di avere la bacchetta magica, perché la mobilità notturna, la voglia di sballo, l’uso di sostanze proibite, sono ormai un fenomeno sociale che coinvolge la quasi totalità dei nostri ragazzi, e come tutti i fenomeni sociali vanno compresi, analizzati, e poi regolati, e se del caso contrastati.

In ogni caso non servono leggi suggerite dall’emergenza o dell’emotività, non servono clamorosi aumenti delle pene, che il più delle volte vengono vanificati nelle aule dei Tribunali dalla furbizia degli avvocati che hanno imparato come raggirare gli ostacoli dei test tossicologici, e puntano sovente al patteggiamento della pena.

A questo punto occorre rimettere al centro dell’agenda politica la sicurezza stradale, sperando che le divisioni fra Lega e 5Stelle non emergano anche su un tema che riguarda la vita dei nostri ragazzi.

Molto modestamente, io credo che sia necessario muoversi in tre direzioni: Educazione, Prevenzione, Repressione.

Per ciò che attiene l’educazione, bisogna partire dalla scuola, introducendo stabilmente l’educazione stradale fra le materie di studio, possibilmente con qualche prova finale, per impegnare i ragazzi, e verificare la loro preparazione.

Vanno poi riprese in grande stile le campagne informative contro l’uso di alcol e sostanze psicotrope prima di mettersi alla guida. E parimenti mostrare gli effetti mortali dell’uso degli smartphone in automobile.

Parlo di utilizzare immagini dure, scioccanti, con le sagome disegnate col gesso sull’asfalto, con i lenzuoli bianchi posati sopra i corpi senza vita dei giovani alle prime luci dell’alba. Immagini analoghe a quelle utilizzate sui pacchetti di sigarette, che da fumatore testimonio che qualche disagio lo creano.

Ma l’educazione, pur fondamentale, non è sufficiente.

Serve anche introdurre innovazioni, che la moderna tecnologia ha reso possibili e a costi contenuti.

Partiamo dalla velocità delle auto. Da anni mi chiedo: ma se in Italia la velocità massima consentita sono i 130 km l’ora nelle autostrade col bel tempo, perché si continuano a produrre auto che permettono velocità di 180/200 km/ora, se non di più? 

A parte i risparmi di carburante, da non trascurare, auto “più lente” limiterebbero certe performances da piloti professionisti cui ancora adesso assistiamo sulle nostre strade, a tutto vantaggio della sicurezza collettiva.

Passando ai dispositivi elettronici, non solo il bluetooth dovrebbe essere reso obbligatorio per tutte le auto, ma l’elettronica di bordo dovrebbe inibire la possibilità di inviare e ricevere foto e messaggi quando l’auto è in movimento.

Si finirebbe così di vedere automobilisti con il telefono all’orecchio, o addirittura intenti a scrivere messaggi sulla tastiera. 

E non ditemi che si tratta di un fenomeno marginale, perché non è così!

Non si tratta di fantascienza. Queste applicazioni esistono già! 

Quanti di voi sanno che esiste un app. creata dall’Anas, in collaborazione con il Ministero dei Trasporti e con la Polizia di Stato, che blocca il cellulare durante il tragitto in automobile? Si chiama “Guida e basta”.

E che la Francia ha introdotto un dispositivo che impone al conducente di soffiare su un etilometro, e impedisce se del caso l’accensione dell’auto? Per ora sono obbligati a dotarsene, a loro spese, solo coloro che sono stati sorpresi a guidare in stato di ebbrezza. Ma l’unione europea ha deciso che nel maggio 2022, se il Parlamento europeo ratificherà la misura, ogni veicolo dovrà avere a bordo questo dispositivo (alcolock).

E ancora, quanti sanno che Apple, autonomamente, ha aggiunto negli ultimi modelli di smartphone la modalità “Guida”, che silenzia l’apparecchio e toglie la vibrazione?

Quindi non si dica che le tecnologie non ci sono!

Ma affidarsi al “comportamento virtuoso” dell’automobilista, specie se giovane, non è sufficiente.

Bisogna fare scelte politiche drastiche. I messaggi di cordoglio, la partecipazione ai funerali, sono pura ipocrisia quando sono disponibili sul mercato applicazioni che consentono di risolvere il problema alla radice.

Basta volerlo, senza preoccuparsi dello scontento suscitato inevitabilmente da scelte del genere.

Come ci siamo adattati a guidare con le cinture di sicurezza, ad andare in moto con il casco, a non fumare nei locali pubblici, sicuramente ci adatteremmo anche ad un’auto che ritorni ad essere un mezzo di trasporto, e non un sito multimediale.

E’ notorio che ogni normativa porta alla trasgressione. La storia dei proibizionismi, dall’alcol alla droga, è illuminante al riguardo.

Ecco quindi che, all’ educazione ad alla prevenzione, si deve necessariamente accompagnare anche un’adeguata repressione di coloro che non rispettano le regole.

Quindi bisogna incrementare la presenza delle pattuglie in strada: al riguardo la situazione è senz’altro migliorata, essendo passati dai 200mila controlli del 2006 agli 800mila del 2013. Ma siamo ben lontani dai 4milioni di controlli di Francia e Spagna. Vanno aumentati gli etilometri a disposizione delle forze dell’ordine. Oggi ce ne sono circa 2mila, molti dei quali sono spesso inutilizzabili in quanto guasti; ne servirebbero decine di migliaia.

Ma soprattutto deve passare l’idea che se uno provoca un incidente mortale per incuria o disattenzione, o perché sotto l’influsso di alcol e droga, non è possibile che non passi qualche anno ospite delle patrie galere.

Le “stragi del sabato sera” non sono un destino inevitabile.

Possono essere ridotte con un mix di interventi che devono coinvolgere i cittadini e le Istituzioni.

Diversamente, continueremo cinicamente a fare la conta dei drammatici bilanci delle “notti di festa”.

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