10 Maggio 2016 - 10.42

EDITORIALE – Tra società civile e società politica: la società giudiziaria

poteri dello stato

di Fabio Pinelli, avvocato

Le esternazioni del segretario dell’associazione nazionale magistrati Dott. Davigo, l’ennesima vicenda giudiziaria che ha visto il sindaco di Lodi arrestato per il reato di turbativa d’asta e le conseguenti reazioni del nostro Presidente del Consiglio, volte da un lato ad esprimere un senso di fiducia nella magistratura, ma dall’altro a rivendicare il diritto alla non subalternita’ della politica al cospetto del potere giudiziario, inducono ad alcune riflessioni sul livello di equilibrio, meglio sarebbe dire del disequilibrio, tra i due poteri dello Stato nel contesto storico contemporaneo.
Ho l’impressione che ci sia una ragione profonda che possa spiegare l’attuale subalternita’. Infatti, fintantoché la politica e’ stata capace di essere elemento di aggregazione forte e consensuale della societa’ civile, l’equilibrio istituzionale tra i poteri dello Stato e’ riuscito ad esprimersi nel quadro delineato dalla nostra Costituzione.
Nel nostro tempo, invece, che ha visto la dissoluzione di questa forza aggregatrice, soprattutto in capo ai partiti politici e ai sindacati, la politica e’ – per così dire – “uscita” dalla societa’civile, manifestandosi con la sola dimensione del potere, non del servizio, di potere che serve se stesso e non i cittadini. Di potere oltretutto, in alcuni casi, certamente gestito in modo illecito, come le cronache dei giornali, ahime’ quotidianamente, ci ricordano.
Ebbene, quando la frattura fra società civile e societa’ politica si fa così profonda, nello spazio lasciato vuoto s’insinua il medio della “società giudiziaria”.
In una prima di copertina di un volume di Luciano Violante, dal titolo Magistrati, c’è una interessante metafora di cosa possa essere la società giudiziaria, e cioè a dire l’affermazione di Sir Francis Bacon, filosofo ed intellettuale del 1500: “I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono”.
La società giudiziaria vede il rapporto fra il trono e i leoni, fra i politici e i magistrati, sostanzialmente rovesciato, perché se è vero che il trono può finire per schiacciare con il proprio peso i leoni, il nostro tempo è invece quello dei leoni che ambiscono allo scranno del trono.
Ma in un sistema autenticamente democratico, il potere giudiziario, per concentrarsi all’ambito penalistico, non può assumersi altri compiti che non siano quelli dell’accertamento delle responsabilità dei soggetti che di volta in volta abbiano violato la legge penale. Questa funzione si’, certamente, in totale autonomia e indipendenza, ma avendo bene a mente che gli sconfinamenti di campo, dall’una e dall’altra parte, determinano conflitti che contraddicono e minano il principio fondante di uno Stato democratico: la separazione dei poteri.
De resto, nel circuito virtuoso della democrazia il politico, anche solo incapace, quando non corrotto, comunque non gradito ai cittadini, può essere successivamente non eletto; il giudice, viceversa, è garantito, potremmo dire costituzionalmente e legittimamente garantito, dalla prerogativa dell’inamovibilità.
La politica, dunque, deve recuperare la propria capacità di essere autorevole e di selezionare accuratamente la classe dirigente, mettendo al primo posto i requisiti di carattere morale e di competenza, per affrontare le problematiche della complessita’ della societa’ moderna.
D’altro canto, il potere giudiziario deve, in una propensione riequilibrativa, ripensare al proprio ambito di intervento nella societa’: quello del rispetto dell’autonomia della politica, senza alcuna tentazione di svolgere il ruolo di protettore della società dalla politica; quello della deferenza ai limiti della giurisdizione, senza alcun passo in avanti motivato da malintese pretese di moralismo giudiziario.
Come avrebbe detto Locke, funzioni diverse devono essere affidate a soggetti diversi perché, ricordava Montesquieu, “chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]. Perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere.
Non vi è dubbio dunque che dietro alla degenerazione della quale ci siamo occupati alberga anzitutto un problema, anzi il problema strutturale oramai emerso in modo inequivoco, vale a dire quello per il quale, rispetto alla società civile e a quella politica, il potere giudiziario deve recuperare i confini del proprio ruolo giurisdizionale, senza ergersi a ruolo supplementare della politica nella tutela e nella risposta ai bisogni della società civile.

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