11 Settembre 2019 - 8.32

EDITORIALE – Sarà davvero un “governo della rinascita?”

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Qual è la cosa che solitamente manca ai Governi in Italia?
I soldi, sono certo staranno pensando molti di voi!
Sicuramente la costante carenza di risorse ostacola i programmi degli Esecutivi, anche se al riguardo c’è da osservare da un lato che molti soldi potrebbero essere recuperati contrastando ruberie, malversazioni, e soprattutto l’evasione fiscale, e dall’altro che non si può procedere sempre scrivendo “libri dei sogni”, per evitare di spiegare agli italiani qual è la reale situazione economico- finanziaria del Paese.
Ma c’è un altro fattore, forse anche più importante, cioè il tempo.
Per spiegarmi meglio, in qualsiasi Paese normale, un nuovo Governo sa che per attuare il programma con cui ha vinto le elezioni ha a disposizione l’intero mandato pluriennale.
In Italia purtroppo non è così.
Nel Bel Paese un Esecutivo deve preoccuparsi di far approvare almeno i provvedimenti più caratterizzanti quanto prima possibile, perché un Governo da noi raramente supera i due anni, e di conseguenza l’agire politico è sempre improntato alla “fretta”, all’ “ansia da realizzazione”.
Il fenomeno si è oltretutto aggravato negli ultimi anni, in conseguenza di una sempre maggiore volatilità degli umori dell’elettorato, con la conseguenza che ogni azione di governo viene valutata e decisa sulla base di sondaggi quotidiani, che sono spesso prodotti “solo ad uso del Palazzo”, e quindi non vengono resi pubblici.   Ma voi capite bene che governare sulla base degli “umori” della piazza impedisce una seria programmazione  temporale delle decisioni.
Se poi consideriamo che lo sport più praticato dagli italiani è quello di “saltare sul carro del vincitore”, il cerchio si chiude.
Volete la riprova?
Solo un mese fa i sondaggi accreditavano alla Lega di Salvini un gradimento di quasi il 40%, dato che forse ha innescato nel Capitano una sorta di “delirio di onnipotenza”, spingendolo ad aprire una crisi al buio, non tenendo conto che le rassicurazioni di qualche leader che si sarebbe sicuramente andati ad elezioni, hanno dimostrato di avere il valore dei “ti amo” scritti sul bagnasciuga di una spiaggia.
Intendiamoci, non tutto è perduto per la Lega, anche perché un Governo non può nascere “contro qualcuno”, e se i giallo-rossi non saranno in grado di soddisfare le promesse che hanno fatto agli italiani, gli umori faranno presto a cambiare.
A tal proposito mi sembrano un po’ azzardati i toni e le definizioni enfatiche con cui grillini e democratici hanno lanciato la loro nuova alleanza: “Governo della rinascita”, “Governo della rigenerazione”, “Governo coraggioso”, “svolta storica”,  “trasformeremo l’Italia”.
Forse sarebbe meglio volare un po’ più bassi, e dire agli italiani, che non sono una massa di pecoroni come pensano nei Palazzi romani, che “la situazione è seria”, che “faremo quello che si potrà fare”, senza promettere una palingenesi cui non crede più nessuno.
Anche perché le due forze politiche che si sono messe insieme trovano nel “fermare Salvini” l’unico collante, oltre agli interessi legati alle decine e decine di nomine importanti in scadenza, ma i problemi che hanno fatto saltare il governo giallo-verde sono sempre lì, e le posizioni dei Dem e dei 5Stelle sono spesso molto distanti, se non contrastanti (legittima difesa, immigrazione, Gronda di Genova, Tav, concessioni autostradali, giustizia, solo per dirne qualcuno).
E ciò appare estremamente chiaro leggendo il programma di Governo, in cui si continua a dire “occorre fare questo, occorre fare quello”, senza però spiegare come si farà, e soprattutto con quali soldi.  
Su quest’ultimo fattore, forse sarebbe il caso che i nostri governanti la smettessero ad ogni legge finanziaria di tendere la mano all’Europa per mendicare qualche decimale di punto di “flessibilità”, che la finissero con i piagnistei e le lamentazioni, e si dessero da fare per dare una svolta, quella si, all’intero comparto della finanza pubblica.
Si cominci a spendere bene quello che c’è, si taglino sprechi ed agevolazioni illogiche ed insostenibili, si controllino i mille rivoli della spesa, si combatta seriamente l’evasione fiscale, e solo dopo, con le carte in regola, si dialoghi alla pari con i partner europei, che forse a quel punto la smetterebbero di  considerarci degli “accattoni con le mani bucate”.
E queste considerazioni valgono per tutti, non solo per il Governo giallo-rosso.
Perché anche se a Palazzo Chigi ci fosse Salvini la strada di aumentare il debito pubblico come se non ci fosse un domani, equivarrebbe all’ultimo chiodo sulla bara della nostra Italia.
Ma vorrei anche fare qualche considerazione sul fatto che alcune tematiche  del Governo Conte bis, ma per verità anche di quelli precedenti, sembrano inserirsi in un dibattito che sta prendendo corpo e consenso a livello globale.
Decine di manager delle 200 principali aziende mondiali (Apple, J P Morgan, Amazon ecc.) riuniti intorno alla Business Roundtable, politici come Corbyn in Gran Bretagna, e personaggi del peso di Mark Zuckerberg e Picketty stanno dando chiare indicazioni sul fatto che la nuova frontiera della società, della politica e del mondo degli affari, è quella della “redistribuzione”  della ricchezza a favore degli ultimi.
In questo dibattito vanno senz’altro inseriti provvedimenti come il “reddito di cittadinanza” o quello di “inclusione”, ed in generale i contributi sociali, declinati in varie forme, presenti in molti Paesi, fra cui Francia e Germania, a favore dei redditi più bassi, dei giovani precari, delle famiglie monoparentali.
Cosa c’è dietro?
Rigurgiti di marxismo? Rimpianti di un’economia di tipo sovietico?
Non direi proprio, dato che la riflessione sulla “redistribuzione” ha fatto breccia in mondi e poteri opposti, fra economisti, intellettuali e top manager non certo omogenei per formazione e ruolo nelle società in cui vivono.
Ma cosa lega un vetero marxista come il laburista Corbyn e gli gnomi di Wall Street?
Io credo che la molla stia nella consapevolezza che serve un “salto di qualità” per porre un argine al declino delle società occidentali; in altre parole per garantire la sopravvivenza della democrazia liberale.
In pratica sembra che buona parte dei personaggi di vertice delle società occidentali, Usa in testa, stiano prendendo atto che la democrazia liberale è drammaticamente minacciata da tre nemici diversi, ma la cui azione converge sull’obiettivo.
Il primo nemico è il populismo sovranista, che delegittima le classi dirigenti, e fa saltare gli equilibri della società civile.  Salvini, Orban, Le Pen, Alternative fur Deutschland, ne sono i maggiori rappresentanti in Europa.
Il secondo nemico è la globalizzazione finanziaria, che ha devastato le classi medie, ed allargato a dismisura la forbice fra ricchezza e povertà.  Anche in Italia i ricchi sono sempre più ricchi, ed i poveri sempre più poveri.
Da ultimo la rivoluzione informatica e biologica, che, cambiando i parametri delle conoscenze, generano profondi cambiamenti nei processi produttivi, espellendo dal lavoro sempre più persone.
Non è difficile comprendere che queste tre “bombe”, innescate all’interno delle nostre società, se non neutralizzate almeno in parte, rischiano di produrre un botto colossale, di cui è persino difficile pronosticare gli effetti.
Questo è un terreno su cui sicuramente, se non si perde in litigi e recriminazioni, si potrà muovere per affinità di pensiero il nuovo Governo giallo-rosso.
Purchè lo faccia, a mio avviso, evitando di scadere negli estremismi cari agli epigoni nostrani del comunismo, tipo patrimoniali o quant’altro, che non servono a nulla, se non a placare le coscienze di queste anime belle.
Ma per fare quanto serve occorrerebbe quel fattore cui accennavo prima: il tempo.  Il tempo di programmare gli interventi a medio termine, evitando così di fare saltare il banco,  ma spiegando bene agli italiani quali sono gli obiettivi,  e garantendo  di portarli a termine.
Perché fare tutto e subito non solo non è possibile, ma come succede in medicina rischia di intasare l’organismo.
Con il rischio che, qualora ciò avvenisse, e Conte dovesse saltare, al proprio capezzale gli italiani chiamerebbero il dott. Salvini.

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