22 Aprile 2016 - 18.41

EDITORIALE- I referendum ed i dolori del giovane Renzi

renzi

di Marco Osti

Il referendum sulle trivelle di domenica 17 aprile, come era ampiamente previsto, è fallito per il mancato raggiungimento del quorum dei votanti.
Il risultato finale era scontato, ma ormai era chiaro a tutti che la consultazione aveva perso qualunque valore nel merito della questione, inerente le concessioni entro le 12 miglia marittime per l’estrazione di gas e petrolio, ma aveva assunto una valenza del tutto politica.
Questa trasposizione di importanza del voto vale per tutti i protagonisti della vicenda, a iniziare dai presidenti delle regioni che hanno promosso il referendum, primo fra tutti quello della Puglia, Michele Emiliano, che è stato molto presente in campagna elettorale e ha voluto significare con forza l’importanza di avere comunque raccolto un’affluenza politicamente significativa, di cui, a suo avviso, “Renzi dovrà tenere conto”.
Quando lo dice, a parole si riferisce al fatto che il Governo deve pensare una politica energetica differente, che punti su risorse alternative, ma in realtà parla del peso politico di chi nel Pd può muovere milioni di elettori su posizioni contrarie a quelle promosse da Renzi.
Non a caso quando snocciola i dati di affluenza al referendum, Emiliano li compara a quelli ottenuti in Puglia dal Pd per la sua elezione, per evidenziare quanto siano maggiori e, implicitamente, sottolineare la crescita del suo peso politico.
Analogo approccio è quello di Roberto Speranza, leader della minoranza nel Pd, che nella sua Basilicata ha visto addirittura raggiungere il quorum con il 53% degli elettori.
Lo stesso Renzi peraltro non si è sottratto alla politicizzazione del referendum, invitando a non andare alle urne.
Aldilà della inopportunità che una figura istituzionale come il presidente del Consiglio inviti i cittadini a non partecipare a una consultazione elettorale, indicazione che infatti ha scatenato notevoli polemiche, è apparsa eccessiva la determinazione con cui il premier si è attivato per il non voto su un tema referendario di fatto marginale, anche se avesse vinto il Sì all’abrogazione della norma.
Molti hanno pensato che evidentemente erano in gioco interessi specifici e particolari da difendere senza remore, cosa possibile, soprattutto dopo la vicenda che ha coinvolto l’ex ministra Guidi, ma più probabilmente per Renzi si è trattato di una prova generale rispetto alla partita referendaria più importante, quella che si giocherà a ottobre sulla riforma costituzionale.
In tal senso non è stato casuale nemmeno l’intervento a favore dell’astensione, se possibile, visto il ruolo ricoperto, ancora meno condivisibile in termini di opportunità di quello di Renzi, dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che da molti viene indicato come possibile capofila dei Comitati a favore della riforma stessa.
Del resto lo stesso premier ha più volte dichiarato che se in quel referendum dovesse arrivare un voto contrario lui lascerebbe l’incarico e probabilmente la politica.
Torneremo certo sul tema, seppure anche questa affermazione non sembra pertinente con una questione così importante come una riforma che riguarda la Carta Costituzionale, la cui validità va ben oltre i pochi anni di una legislatura o di una carriera politica, ma riguarda il futuro di un Paese.
E’ quindi più che inopportuno trasformare un tema così vitale, con di fatto una consultazione sul presidente del Consiglio, in ogni caso lo stile del premier è questo ed è lo stesso che lo ha spinto ad apparire in televisione a gongolare del fallimento della consultazione sulle trivelle, come fosse stata una sua affermazione personale.
Nonostante questa soddisfazione di facciata però qualche preoccupazione l’affluenza registrata può farla sorgere, considerando che il centro destra e il Movimento 5 Stelle non hanno di fatto partecipato alla campagna elettorale referendaria, se non in modo poco organico e poco incisivo.
Considerando peraltro un tema referendario molto tecnico e una scarsa copertura mediatica sullo stesso, se non nell’ultima settimana, c’è da pensare che su una questione molto più sentita come il cambiamento della Costituzione tutti gli schieramenti politici entreranno in campo con grande decisione.
E’ vero, allo stesso tempo, che Emiliano e Speranza hanno voluto chiarire come il consenso che loro ritengono di avere ottenuto non deve essere traslato sul prossimo referendum, ma possiamo pensare che se fosse una prova per Renzi, lo era anche per gli elettori che volevano lanciare un segnale politico al premier.
In tutto ciò va considerato che nel frattempo ci saranno le elezioni amministrative in città di grande rilevanza come Roma, Milano, Napoli, Bologna e Torino, il cui esito darà ulteriori segnali di grande importanza e potranno definire una chiara indicazione sui rapporti di forza in campo.
Questi appuntamenti saranno quindi fondamentali per capire come si arriverà al referendum e per comprendere se Renzi e il Governo godono ancora della maggioranza del consenso nel Paese, e possono ancora pensare di arrivare a fine legislatura, oppure se lo scenario è mutato, gli equilibri sono di nuovo tutti in discussione, e il renzismo può essere entrato in una fase critica.

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