30 Agosto 2019 - 9.38

EDITORIALE – Nuovo Governo: il Conte bis e tutte le sue forze in campo

Leggendo le cronache dei giornali e dei media sembrerebbe che a sostenere il costituendo Governo Conte 2.0 sarebbero solo il Movimento 5 Stelle ed il Partito Democratico. In realtà non è precisamente così, perché al Senato i numeri risulterebbero un po’ risicati, in quanto la somma fra M5S e Pd fa 158, tre in meno dei 161 necessari per avere la maggioranza.  Certo ci sono i 15 senatori del Gruppo misto, gli 8 del Gruppo delle Autonomie, ed i 6 senatori a vita.   Ma vista la “mobilità” tipica dei nostri Parlamentari, meglio non rischiare. Ecco quindi entrare in campo anche il partito di Liberi e Uguali (Leu), i cui 4 senatori contribuirebbero a garantire un margine di sicurezza.  Ricorderete che Leu è la forza politica costituita dall’alleanza elettorale di Articolo Uno, Sinistra Italiana e Possibile, dopo la loro fuoriuscita dal Pd nel 2017.In realtà il cartello elettorale di Leu è già finito da tempo, ma restano i 14 deputati e i 4 senatori eletti alle ultime politiche. Si tratta dei politici più a “sinistra” del Parlamento italiano, e c’è da chiedersi quanto le loro posizioni politiche potranno influenzare le scelte del Pd e del Governo Conte. Per il momento si è capita la loro disponibilità a “verificare la possibilità di realizzare un Governo di svolta”, e poiché in politica la disponibilità ha un prezzo, sembra che questo possa essere il Dicastero della Giustizia per Pietro Grasso.Il problema è capire cosa sia un Governo di svolta, in una visione di “sinistra- sinistra”.Al riguardo due “cartine di tornasole” potrebbero essere le risposte da dare al problema dell’immigrazione, e a quello del recupero delle risorse per la manovra economica. Partiamo dalla “damnosa hereditas” lasciata dal Governo giallo-verde in tema di politiche migratorie, su cui sarà interessante sentire cosa dirà Conte quando esporrà il programma alle Camere.Per il momento pare di capire che il Partito Democratico sia decisamente orientato a scardinare i decreti sicurezza fatti approvare da Matteo Salvini, passati comunque, è bene non scordarlo, con il voto di fiducia dei 5Stelle, e con l’approvazione di Conte. Si sa che in politica i simboli contano, e quei due decreti sono per la sinistra ad un tempo la metafora della disumanità di Salvini, ed una prova della “discontinuità” del nuovo Esecutivo giallo-rosso. Il dilemma è cosa fare dopo, ed io ritengo che fra tutti i problemi che il Governo si troverà ad affrontare, quello dei cosiddetti profughi sia il più difficile, ai limiti dell’ ingestibililità. Al riguardo Conte ed i suoi ministri potrebbero optare per:• confermare la chiusura dei porti, magari con qualche eccezione “umanitaria”. La vedo poco percorribile perché la politica delle porte aperte è nel Dna delle sinistre, e non li vedo proprio sbarrare la strada alle “sante Ong”, fra cui spicca “Mediterranea” di Luca Casarini e compagni; recuperare la politica di Minniti, con accordi con i libici per bloccare le partenze. Anche questa la vedo poco percorribile per i motivi sopraddetti; riaprire tout court i porti. Certo questa scelta otterrebbe la benedizione della Chiesa, ed il gradimento di tutte le “anime belle”, ma ha una controindicazione non da poco, che sta nel fatto che la riduzione degli ingressi illegali è ben vista dalla maggioranza degli elettori, anche quelli che non votano Salvini.  Ed una ripresa incondizionata degli arrivi qualche problema lo creerebbe al Governo, soprattutto al Pd, che rischia molto nelle elezioni regionali di Umbria ed Emilia Romagna, che si terranno entro l’anno;• tentare di coinvolgere l’Europa nella gestione dei flussi.  La sinistra ha  con sicumera sempre accusato Salvini di non aver cercato accordi con l’ Unione Europea. Sarà interessante vedere cosa riusciranno ad ottenere da Bruxelles i nuovi governanti. Io credo poco o nulla, ma mai dire mai.Quindi è probabile che la scelta, anche per i condizionamenti della sinistra estrema, sia quella di ritornare alle prassi vigenti prima dell’ “annus horribilis” di Salvini.  Il che, inutile che ci dicano che non è vero, vorrebbe dire riaprire alcuni Centri di Accoglienza (come Mineo o Bagnoli), ridiscutere al rialzo le tariffe riconosciute alle cooperative di accoglienza, riprendere la distribuzione dei migranti nei nostri comuni (Sprar), ripristinare alla grande la cosiddetta “protezione umanitaria”.  Tutto questo per la gioia degli operatori dei Centri di accoglienza e delle Cooperative, sicuramente meno per i cittadini delle periferie e delle piccole comunità.E poi vedrete che, inevitabilmente, si ricomincerà a parlare di jus soli. Se le scelte dovessero essere queste, vuol dire che alla sinistra importa poco  l’aver perso diverse elezioni proprio per le politiche sull’immigrazione.  Ma, come si dice, “Dio rende ciechi coloro che vuol perdere”!Sull’altro tema cui accennavo, quello delle risorse per l’economia, fra gli altri ho sentito in questi giorni l’on. Nicola Fratoianni invocare in televisione una imposta “patrimoniale”, cioè una tassa applicabile ai patrimoni degli italiani siano essi risparmi o immobili, implementabile dal Governo indipendentemente dalla fascia di reddito e dalla situazione finanziaria dei contribuenti.Nulla di veramente nuovo in verità.  L’ estrema sinistra e la Cgil ne hanno fatto un mantra da lunghi anni.Sarà interessante vedere se queste richieste della “gauche più gauche” verranno condivise dai 5Stelle e dal Pd, quest’ultimo avendo riguardo alle imminenti scadenze elettorali regionali, nelle quali, non si illudano, il rapporto sicurezza-immigrazione resterà determinante per le scelte dei cittadini.Pd e Grillini non dovrebbero dimenticare mai che gli italiani sono un popolo di risparmiatori impenitenti, oltre che decisamente legati alla sicurezza  data (o promessa?) dal mattone.  Capite bene che fra immobili, conti correnti, polizze assicurative, depositi titoli, ci sono praterie sterminate su cui il Governo potrebbe fare scorrerie.  E  sempre chi ci governa non dovrebbe inoltre dimenticare che i risparmi delle famiglie, siano essi liquidità sui conti correnti o titoli o fondi, sono soldi che  quasi sempre derivano da anni di parsimonia, da eredità, dal Tfr  percepito dopo una vita di lavoro, tutti cespiti sui quali l’avidità fiscale dello Stato si è già ampiamente “soddisfatta”.Gli italiani dovrebbero inoltre non farsi ingannare dalla propaganda del “anche i ricchi devono piangere”. Il problema, o l’equivoco a mio modesto avviso, sta nell’individuazione di cosa sia un “grande patrimonio”.  Perché se gli italiani pensano che l’eventuale prelievo si limiterebbe ai soli possessori di “milionate” di euro, di ville e castelli, si sbagliano di grosso. Per mere questioni “quantitative”, tassare i soli  ricchissimi non porterebbe alle cifre che servirebbero.  Ammesso sempre che si riesca a “prenderli”, vista la loro propensione a spostare alla bisogna i soldi all’estero. Per avere un risultato apprezzabile per le casse dello Stato la “patrimoniale” dovrebbe essere più ampia possibile, andando in definitiva a colpire anche coloro che hanno una casa o qualche soldo in banca, e che giustamente non si ritengono detentori di grandi patrimoni.  E finendo quindi per gravare sostanzialmente ancora una volta, come sempre, sul ceto medio, l’unico che in questo Paese già adesso paga le tasse fino all’ultimo euro.Ma in questa fase di grande “nervosismo sociale”, di insicurezza, di sfiducia, di intolleranza, e talvolta di odio, l’Italia appare immersa nel rancore e nella nostalgia, per cui ogni capro espiatorio appare legittimo. Ecco quindi che chi ha messo da parte qualche soldo diventa automaticamente un ”pescecane arraffatore”, da squamare senza pietà.   Un po’ come avvenne ai Kulaki dopo la rivoluzione russa. Ma c’è un’altra considerazione da non trascurare.  Una qualsivoglia imposizione di tipo patrimoniale potrebbe essere accettata se a chiederla, meglio a imporla, fosse uno Stato “virtuoso”, uno Stato che amministra bene le tasse dei contribuenti, e che si sia trovato di fronte ad un evento imprevedibile, e non sarebbe questo il caso dello spread e del debito sovrano, di cui è responsabile una casta politica che da decenni ha fatto del “tassa e spendi” quasi una religione. Uno Stato guidato da una classe politica integerrima, e non incline, stando a quanto si legge nelle cronache quotidiane, alle tangenti, alle malversazioni, alla corruzione.  Senza generalizzare perché politici seri ed onesti ce ne sono ancora.    Uno Stato che ha un’imposizione fiscale e contributiva fra le più alte al mondo, e che accetta di fatto un’evasione fiscale scandalosa di 120 miliardi l’anno, non può pensare di mettere ancora le mani nelle tasche degli italiani, taglieggiando come i signori medievali i frutti del lavoro ed i risparmi di una vita. Non sarebbe giusto, non sarebbe etico, non sarebbe degno di un’economia moderna e di uno stato democratico.  A meno che i modelli di riferimento stiano diventando la Korea del Nord o la Cambogia di Pol Pot. Oltre a tutto un cittadino potrebbe anche comprendere se il fine fosse quello di mettere definitivamente un freno al macigno del debito, ma non sarebbe certamente d’accordo a destinare forzosamente i propri risparmi a sostegno di politiche di assistenzialismo dissennato, finalizzato solo all’acquisizione di consenso elettorale.Taglino le spese inutili, chiudano certi carrozzoni pubblici che ci costano miliardi, alleggeriscano la burocrazia, combattano veramente l’evasione fiscale mettendo in galera chi si sottrae all’obbligo tributario, mettano un argine alla contiguità fra mafie e politica; insomma prima mostrino di voler cambiare  veramente questo Paese, e solo quando avranno dimostrato di saper spendere oculatamente i soldi delle nostre tasse, forse si potranno permettere di chiederci ulteriori risorse.  Non mi stancherò mai di dire che nel nostro Paese è mancata una vera rivoluzione liberale.  Fra la cultura marxista secondo cui “dietro il denaro c’è sempre un furto”, e la visione cattolica che ha sempre visto nei soldi “lo sterco del diavolo”, da noi è sempre stata minoritaria l’idea che i denaro è il motore dell’economia, e che avere qualcosa da parte non è né un reato né un peccato, ma la giusta remunerazione dell’impegno e delle capacità individuali, esclusa ovviamente l’economia criminale. Da qui l’illogicità dell’idea che la ricchezza si possa distribuire indipendentemente dalla sua accumulazione, che  in fondo è la filosofia che sta alla base del reddito di cittadinanza. 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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