22 Febbraio 2020 - 15.57

EDITORIALE – “Ma allora è arrivato il coronavirus?”

Dopo le prime infezioni conclamate in Lombardia ed in Veneto, e purtroppo il primo decesso di un italiano proprio nella nostra Regione, la vicenda del coronavirus assume toni e caratteri totalmente diversi.
Da venerdì 21 febbraio 2020 un fantasma si aggira per i nostri Paesi, quello di un agente patogeno che, partito dall’altra parte del mondo, è arrivato anche nelle nostre contrade, facendosi beffe di tutti i tentativi di contenimento.
Ricorderemo questa data, perchè segna una sorta di spartiacque fra un prima ed un dopo.
Un prima che ci vedeva spettatori di quanto avveniva nella Regione cinese di Hubei, ed in particolare nella città di Wuhan, di fatto militarizzata e messa in quarantena; spettatori televisivi però, sicuramente preoccupati, ma alla fin fine rassicurati dagli 8.847 Km che ci separavano dall’epicentro dell’epidemia.
Ed un dopo in cui, in Lombardia ed in Veneto, abbiamo assistito attoniti a scene simili a quelle viste filtrate degli schermi della TV o dei nostri PC.
Ma allora è arrivato?  Questa è la domanda che tutti ci siamo posti venerdì.
Alla quale ne è seguita un’altra, molto più inquietante, la stessa che si è posto il Sindaco di Vo’ Euganeo.
Ma come è possibile che il coronavirus abbia infettato due pensionati di 77 e 68 anni residenti in un piccolo comune posto alle pendici dei Colli Euganei, in cui i cittadini cinesi residenti sono solo cinque?  Come è possibile visto che questi soggetti di recente non avevano certo viaggiato, e tanto meno in Cina?
Come è possibile prendersi il virus giocando a carte nei due Bar del Paese?
Ma allora nessuno è più sicuro, e tutti possiamo ammalarci!
In realtà, poiché il virus non viaggia nell’aria, i due pensionati di Vo’ sicuramente sono entrati in contatto con un soggetto infetto.
Il problema è che, a distanza di tempo, non è facile individuare quello che in termini tecnici si definisce il “paziente 0”.   Ma questa informazione è fondamentale sia per capire meglio le modalità di trasmissione del virus, sia per impedire un ulteriore diffondersi dell’epidemia.
Onestamente io avrei scommesso che i primi contagi in Italia, che la nota virologa Ilaria Capua aveva preannunciato come una certezza, ci sarebbero stati in comuni con strutture produttive e commerciali di rilievo, di quelle che nell’era della globalizzazione inevitabilmente sono costrette ad entrare in contatto con le realtà produttiva ed umana cinese.
Ma non in un paesino di 3.000 anime, immerso nel verde degli Euganei, apparentemente poco coinvolto nella “mobilità globalizzata”.
Ma la sorte ha voluto che proprio i residenti di Vo’ abbiamo provato per primi in Veneto le misure di contenimento decise per questa pandemia; sorveglianze attive, monitoraggi, divieti di uscire di casa, chiusura delle attività produttive e delle scuole, tamponi per tutta la popolazione.  Una vera è propria  “quarantena”, un “cordone sanitario” che qualcuno ventila forse sarà garantito dalle forze armate.
Ed è chiaro che non è finita qua.  I casi di contagio sono in aumento;  si è già avuto il primo ammalato anche nel veneziano, a Mira, e i morti da venerdì 21 sono già due, l’anziano di Vo’ ed una donna residente in Lombardia.
Ma al di là della cronaca, l’arrivo del virus in Italia suggerisce alcune riflessioni.
Se facciamo un po’ di mente locale scopriremo che il coronavirus è solo l’ultima minaccia, perchè l’intera nostra esistenza è stata scandita da paure ed allarmi da “prima tromba dell’Apocalisse”.   Negli anni 80 arrivò l’Aids, che andava a toccare la sfera più intima del nostro vivere, quella sessuale.  Che all’inizio fu in qualche modo esorcizzato pensando che fosse una malattia diffusa nel solo mondo dell’omosessualità, per poi scoprire che ogni atto d’amore poteva essere a rischio.  Poi, ad intaccare le nostre certezze di appartenenti al pezzo di umanità più agiata e medicalizzata, fu una sequela di Ebola, Mucche pazze, Pesti suine, Sars.
Ora è la volta del Virus di Wuhan, che per come si è manifestato in Lombardia ed in Veneto porta a mettere in discussione ogni nostro comportamento.
Scorredo la vita degli ultimi giorni del “Paziente uno” di Codogno abbiamo appreso di cene con gli amici, riunioni ed incontri con i colleghi di lavoro, partite di calcio.
Cose normalissime per quasi tutti noi, ma che adesso diventano improvvisamente “sospette”.  Ma a questo punto diventano da “cerchiare in rosso” anche andare al cinema, frequentare una discoteca, un teatro od una palestra, o partecipare a qualsiasi manifestazione di massa, da quella politica alla festa di carnevale.
E faccio notare a tale riguardo che c’è un luogo che accomuna i due infettati di Vo’ Euganeo, di cui purtroppo uno passato a miglior vita, e tre contagiati di Castiglione d’Adda in Lombardia; il bar.  Sappiamo bene che nei paesini il Bar è il luogo di ritrovo topico per gli anziani che vogliono socializzare e passare il tempo fra una mano a carte ed un’ ”ombra” di vino. Dover pensare ai bar come fucine di germi ed infezioni colpisce al cuore un po’ tutti noi.
Riflettete: se eliminiamo tutto questo, ed in ciò consiste la “quarantena”, si scopre che la vita si riduce a dormire e stare svegli in un ambiente ristretto, asettico, sempre fra le stesse persone.
Ma ci rendiamo anche conto, da persone ragionevoli, che quando piovono le bombe bisogna ripararsi, e l’isolamento e la quarantena sono al momento l’unica forma di difesa contro un virus che non conosciamo, e di cui siamo privi di anticorpi.
Ma le paure, legittime se son sfociano nell’ipocondria, della sindrome cinese ci suggeriscono anche un’altra riflessione.
Noi europei di oggi, cui la sorte ci ha riservato il più lungo periodo di pace e prosperità della storia dl nostro continente, siamo più esposti ad essere preda dell’angoscia della morte, e di conseguenza viviamo con una certa isteria le minacce letali che gravano da sempre sull’umanità.
Non è sempre stato così.
Quando la vita media non superava i quarant’anni, la morte era una presenza assai concreta nella vita dell’uomo.
Non a caso i Faraoni cominciavano a costruire le loro tombe appena salivano al trono, e così fu anche per i potenti dei millenni successivi.  In fondo cos’è Castel Sant’Angelo a Roma se non la tomba dell’imperatore Adriano?
Ed il genio dei nostri più grandi artisti, Michelangelo per fare un solo nome, fu sublimato nell’architettura funeraria, nei mausolei di Papi e Nobiluomini  di cui sono piene le nostre chiese e cattedrali.
La società contemporanea sembra aver cancellato il pensiero e la consapevolezza della morte, generando l’illusione di un uomo eterno che può tutto.
Non è un caso che noi adulti di oggi non si parli più del fine della vita con i bambini, per il timore di causare in loro problemi psicologici. Comincia di qui la censura della morte nella vita dell’uomo occidentale contemporaneo.
Non vorrei darvi l’impressione di essere una sorta di sostenitore della “cultura della morte”.
Amo la vita come tutti voi, come tutti voi osservo con seria preoccupazione l’evoluzione della pandemia da coronavirus in Italia e nel nostro Veneto, e come tutti voi mi atterrò alle indicazioni della scienza e delle autorità sanitarie, in primis il frequente lavaggio delle mani.
Ma credo fermamente che questa emergenza planetaria vada affrontata senza inutili “isterie”, e con un po’ di “sano fatalismo”, non dimenticando mai una grande verità; che “la vita stessa è una sindrome con prognosi naturalmente infausta”.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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