4 Aprile 2018 - 9.30

EDITORIALE – M5S prigioniero di se stesso

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 L’esperimento di intesa tra il centrodestra, dove la guida della Lega di Salvini è sempre più evidente, e il Movimento 5 Stelle ha portato all’elezione dei presidenti della Camera e del Senato.

Dopo questo passaggio, comunque importante per consentire l’avvio della legislatura, la possibile alleanza ha cominciato a sfaldarsi nel confronto per la costituzione del Governo.

In quest’ambito Matteo Salvini ha espresso disponibilità a trovare un accordo, dichiarando che non avrebbe preteso la poltrona di premier a ogni costo, che invece rivendica con insistenza Di Maio, nonostante il M5S non abbia i numeri per poter governare da solo.

Evidentemente il giovane leader pentastellato si trova nella condizione di dover far fronte alle critiche, emerse dopo l’accordo per l’elezione dei presidenti del Parlamento, di avere accettato compromessi con schieramenti e personaggi che il suo popolo considera organico a un sistema che vorrebbe abbattere.

È però altrettanto chiaro che questa posizione rimette il M5S su una linea di intransigenza inconciliabile con l’impianto istituzionale del nostro Paese, dove è in Parlamento che si deve formare una maggioranza in grado di sostenere l’Esecutivo.

È quindi inutile per Di Maio continuare a dichiarare che ha vinto le elezioni, perché questo non è sufficiente a imporre soluzioni di governo e il premier, come peraltro nella storia della Repubblica non hanno mai potuto fare altri partiti che avevano lo stesso consenso che oggi ha raccolto il suo Movimento.

A prevederlo è la natura parlamentare della nostra Repubblica, che può essere modificata solo con una riforma costituzionale tale da cambiare le logiche politiche e una legge elettorale, che istituisca un premio per chi non prende il 51% di voti, come era ad esempio il Porcellum che è stata però, non a caso, dichiarata incostituzionale.

Sul punto, a prescindere dal giudizio che ognuno possa avere in merito, soluzioni diverse proponeva il referendum voluto da Renzi, la cui sconfitta è stata salutata con gaudio dagli stessi pentastellati, che oggi invece vorrebbero poter governare, senza alleanze, con poco più del 30% dei consensi.

A suo tempo il M5S respinse con durezza, in diretta streaming con Bersani prima e Renzi poi, qualsiasi possibilità di sostegno a un Governo di cui non avesse il presidente del Consiglio.

Oggi si trova nell’analoga situazione di non poter accettare un premier di un altro schieramento, come ad esempio Matteo Salvini, ma di non avere la forza di fare eleggere Di Maio.

L’ideologia della purezza ideologica può quindi far apparire integerrimi, ma in realtà pone condizioni che negano le logiche di dialogo, costruzione del consenso e di soluzioni condivise tipiche di un Paese democratico.

Una impostazione che assume rilievi potenzialmente molto gravi nel presupporre che la differenza di opinione e di visione politica, rispetto a quella assunta come unica vera e da accettare, rappresenti una stimmate negativa.

È la stessa forma di pensiero prodromica a derive assolutistiche tipiche di regimi non democratici.

Oggi quindi il M5S si trova di fronte al bivio di insistere nella sua posizione, che può reggere solo in un ambito meno democratico, o aprire un dialogo costruttivo con altre forze politiche.

Questo passaggio potrebbe essere visto da parte del suo elettorato come il tradimento di una impostazione ritenuta immodificabile, ma allo stesso tempo consentirebbe ai pentastellati di assurgere a pieno titolo a forza politica di rilievo nel consesso democratico del nostro Paese.

In ogni caso va preso atto che oggi il Movimento 5 Stelle è vittima e prigioniero di se stesso e della sua miope e assoluta intransigenza.

 

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