3 Maggio 2019 - 17.30

Editoriale – L’Italia di estrema destra piace davvero a Salvini?

L’esposizione di uno striscione per inneggiare a Mussolini in piazza Loreto, a Milano, da parte di un gruppo di ultras della Lazio, alla vigilia della celebrazione della Festa della Liberazione dal Nazifascismo del 25 aprile, non è stata una semplice provocazione, ma un atto grave sotto il profilo sociale e politico.Fino a pochi anni fa sarebbe stato del tutto impensabile e inammissibile che ciò potesse avvenire in modo così palese.Come non sarebbe stato pensabile che un telegiornale Rai facesse un ampio servizio sulla commemorazione a Predappio della morte di Mussolini, che in altri tempi non trovava alcun riscontro mediatico.Se è diventato possibile glorificare chi ha guidato un regime totalitarista, antidemocratico e criminale, come fu quello fascista è perché nel Paese è cresciuto un clima di tolleranza per logiche di estrema destra, che alimentano rabbia e odio, a vari livelli, anche razziali.A favorire questo processo è il sentimento populistico e sovranista che sta permeando l’Italia e l’Europa da qualche anno, a cui esplicitamente si ispira l’attuale maggioranza, nella quale spicca l’azione del vicepremier Matteo Salvini, che, da quando ne è diventato leader, ha innegabilmente spostato la Lega su posizioni da sempre patrimonio ideologico della destra e di formazioni estremiste come Casa Pound e Forza Nuova.In questo contesto vanno inseriti molteplici avvenimenti ed episodi che hanno contraddistinto la più o meno recente cronaca italiana e l’utilizzo pervasivo di metodi propagandistici, peraltro tipici dei regimi autoritari.Uno di quelli che recentemente ha scatenato polemiche è stato il messaggio postato sui social dal responsabile della comunicazione del vicepremier, Luca Morisi, il giorno di Pasqua, con cui dichiarava, mostrando Salvini con un mitra in mano, che la Lega è pronta a indossare gli elmetti e a combattere con le armi contro chi si oppone alle sue politiche.Si tratta di un messaggio inquietante ed eversivo, che, se utilizzato da una forza di opposizione, potrebbe far pensare alla volontà di rovesciare un Governo liberamente eletto, attraverso un’azione armata, ma se sostenuto da un partito di maggioranza lascia intendere la possibilità di occupare il potere militarmente per contrastare le opposizioni.Una logica cui Salvini allude quando, in modo improprio, senza averne titolo, e fuori contesto, indossa indumenti delle varie forze armate del Paese, come a far pensare che siano al servizio della sua leadership, quando invece sono baluardi a difesa della Repubblica, del Paese e della democrazia e non di un singolo politico o di un dato Governo.Poi, a esasperare tensioni e alzare il livello di ostilità nel Paese, ci sono le dichiarazioni in merito a casi di varia criminalità, tra cui sempre più frequenti ci sono quelli di stupro, che purtroppo continuano nel nostro Paese e dimostrano, insieme ai femminicidi, a prescindere da chi li compie, l’esistenza di una vera emergenza e della necessità di interventi concreti in termini culturali e di sicurezza a tutela delle donne.In merito sono però evidenti le diversità di trattamento mediatico rispetto a situazioni analoghe, che assumono o meno importanza, per alcuni esponenti leghisti, in primo luogo Salvini, solo in base a chi li compie.Quando i responsabili sono stati immigrati, soprattutto se di colore, si è assistito a una pesante colpevolizzazione che ha coinvolto in modo generalizzato tutti gli stranieri arrivati in Italia in modo irregolare.L’ultimo caso di stupro di una donna, da parte di esponenti di Casa Pound, ha visto una generica condanna dell’atto da parte di chi ricopre peraltro anche la carica di ministro dell’Interno, senza che fossero citati gli esecutori, e analogo distacco si verificò quando a essere accusati dello stesso reato, ai danni di turiste americane, furono due carabinieri italiani.Un occhio di riguardo comunque sempre riservato a esponenti o gruppi di estrema destra, come dimostra anche la tolleranza di Salvini per le sedi di Casa Pound in edifici occupati, mentre quelle di altro colore politico sono state sgomberate, anche con operazioni di particolare durezza.In questo clima il vicepremier ha scelto di non partecipare alla commemorazione della Festa della Liberazione lo scorso 25 aprile, una delle giornate in cui l’unità del Paese dovrebbe essere più sentita e i suoi principi democratici quali valori contro i totalitarismi celebrati con massima convinzione.Salvini ha motivato la sua decisione sostenendo che non avrebbe partecipato alla celebrazione per ricordare il fascismo e il comunismo.Una spiegazione del tutto inappropriata, proprio in ragione del fatto che la Liberazione riguarda l’intero Paese ed è un patrimonio di libertà e democrazia ottenuto per tutti gli italiani. Ricondurlo a un “derby tra fascisti e comunisti” significa quindi avvalorare la tesi che possa appartenere solo a una parte e svilirne la sua valenza storica e sociale.Per prendere le distanze dal 25 aprile il vicepremier ha voluto recarsi in Sicilia, come atto contro la mafia.Una decisione che ha significato confondere nella stessa giornata due simboli di civiltà e dello Stato di Diritto del Paese e indebolire la portata di entrambi, ponendoli in contrapposizione.Un’azione quindi meramente di facciata, che, di fatto, non produce alcun risultato pratico e simbolico nei confronti della mafia e lascia il ministro dell’Interno in un limbo di finta determinazione, dove dimostra solo assenza di senso del ruolo che ricopre e delle istituzioni che rappresenta, le quali hanno fondamento proprio nella lotta di Liberazione, che lui, da ministro della Repubblica, ha snobbato.Una inadeguatezza di statura politica che contribuisce a creare quel clima di opaca convivenza con forze politiche estremistiche e favorisce la diffusione nel Paese di un sottile, ma sempre più pervasivo sentimento di divisione.Per rivendicare i principi fondanti della nostra democrazia è ora di iniziare una nuova resistenza contro le ideologie che potrebbero riportare l’Italia negli abissi della storia, prima che questa battaglia culturale e di valori si trasformi in una più pericolosa e cruenta.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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