16 Agosto 2018 - 11.06

EDITORIALE- La tragedia di Genova e i “no a tutto”: cosa insegna a Vicenza e al Veneto

Rivedere, verificare, approfondire, rinviare. Se si parla di progetti di mobilità tutte queste parole non hanno più alcun significato, almeno a partire dalle 11 del mattino di martedì 14 agosto 2018. E gli stessi movimenti “No” qualcosa (No Tav, No Tap, No strade, No sviluppo) dovranno attentamente rivedere le loro strategie. A Genova da anni si stava infatti rivedendo, verificando, approfondendo e rinviando una infrastruttura come la Variante di Gronda che avrebbe dovuto essere una opportuna alternativa al Viadotto Morandi, quello che invece è stato percorso, nel frattempo, da migliaia di veicoli, mezzi pesanti senza limitazioni di stazza e che alle 11 del mattino di martedì 14 agosto 2018 è crollato al suolo, provocando morte e distruzione e mettendo la città di Genova letteralmente in ginocchio.
Si propone quindi, drammaticamente, un confronto diretto fra sviluppo, progresso, innovazione e mobilità con i temi della tutela del territorio, il consumo del suolo, la difesa di interessi legittimi dei residenti che però sono anche e sempre interessi di parte. Si tratta di un confronto che da sempre ha visto istituzioni e cittadini salire sulle barricate in posizioni opposte: ma adesso di mezzo ci sono i morti, le famiglie distrutte, le auto precipitate nel vuoto e i tir rimasti sospesi a qualche metro dal baratro. Cambiano i termini della questione? Certo che cambiano.
L’Italia è un paese che ha saputo innovare e costruire, che ha saputo uscire dal dramma del secondo conflitto mondiale e che ha fondato buona parte del suo miracolo economico e del suo boom sociale sulla realizzazione di infrastrutture in buona parte del territorio. Ad un certo punto, però, quella spinta produttiva si è interrotta e il progresso si è fermato. “Basta autostrade”, si è detto, basta ponti, viadotti e gallerie. Ma non ci si è resi conto che le infrastrutture non si possono semplicemente fermare, non si è considerato che il cemento armato non è indistruttibile come si credeva negli anni ‘60, non si è capito che non si può stare fermi: o si va avanti o si torna inesorabilmente indietro. E si cade nel baratro, figurato e molto, molto reale.
Chi fino ad oggi ha detto “No”, ma anche chi è andato recentemente al Governo del paese cavalcando alcuni di quei “No”, trasformandoli in valutazioni da svolgere su un enorme numero di infrastrutture ora dovrebbe sentire il peso, almeno morale, di quello che è accaduto.
Il rischio, sempre alto in Italia, è che si ceda all’emergenza, che si dia avvio a procedure semplificate a commissari ad acta con pieni poteri e che si faccia ora tutto e il contrario di tutto giustificandolo con la voglia di reagire.
La dinamica generale non è diversa e non è priva di rischi nemmeno al lato opposto del Nord Italia rispetto a Genova. Non è diverso a Vicenza. Ci sono nodi infrastrutturali che devono essere risolti da decenni e che non trovano sbocco, mai. E ci sono intrecci di interessi e di potere che hanno ingessato e bloccato una città e una provincia, che ora dovrebbero essere districati. Il primo esempio è la Valdastico Nord. Una autostrada pensata negli anni ‘60, in parte realizzata e poi lasciata incompiuta, il sogno di uno sbocco a nord verso Trento che lo stesso Trentino non ha mai voluto. Eppure la ripresa economica di questi ultimi 12 mesi ha dimostrato in modo chiaro, incontrovertibile, che le due piccole corsie di autostrada che da Verona portano a nord, verso Trento, Bolzano e il Brennero sono troppo poco. Cosa dobbiamo aspettare prima di renderci conto che il progresso commerciale ed economico di un paese e di una regione come il Veneto, non possono basare il proprio interscambio e le proprie esportazioni su una infrastruttura ridicolmente inadeguata? I cinici risponderebbero che serve una strage, una autobotte carica di gas che esplode, come è accaduto a Bologna o un ponte carico di auto e di tir che crolla come a Genova. E se dovesse accadere cosa avranno da dire gli ambientalisti che non hanno mai voluto considerare il completamento della Valdastico? Cosa diranno i Comitati e i liberi cittadini ai quali non si possono delegare decisioni strategiche come quelle sulla costruzione di una infrastruttura, perché è fin troppo chiaro che i residenti saranno sempre contrari al passaggio di una strada nel loro cortile, sempre. Per questo motivo esistono i poteri dello Stato, che deve dichiarare l’utilità pubblica delle infrastrutture e procedere con gli espropri.
Il rischio oggi è alto anche per la città e per la nuova amministrazione che si è insediata a giugno. E’ di tutta evidenza che la sfida infrastrutturale e di progresso che riguarda la città è quella della ferrovia ad Alta Velocità e l’ipotesi di poter quadruplicare la linea ferroviaria. Badate bene, non si tratta di sognare il treno supersonico giapponese per portare le persone da Milano a Venezia in quaranta minuti. Si tratta di immaginare di offrire una forma di progresso alle infrastrutture del paese, spostare almeno un po’ di traffico di cittadini e di automobili dalla A4 alla ferrovia, ma soprattutto di rendere economico e veloce lo spostamento delle merci lungo la ferrovia, spostando i tir che oggi occupano due delle tre – ormai asfittiche corsie – dell’autostrada. Appena nominato nel primissimo “triumvirato” della giunta Rucco, Claudio Cicero ha subito esternato sulla Tav, dicendo che si sarebbe “Tornati a fare la Tav e a farla bene, in galleria per tutto l’attraversamento della città, con una sola stazione in viale Roma e una navetta di collegamento per la Fiera”. Filobus? “Anche no”. Molti potrebbero leggere questo genere di dichiarazioni come quel famoso “rivedere, approfondire, verificare e rinviare” di cui si diceva all’inizio. Ed è un rischio che la città deve evitare come la peste. E’ vero che l’atteggiamento di chi prende in mano una città e si trova sul tavolo un progetto infrastrutturale destinato a cambiare il volto della città stessa ha il diritto di prendere almeno il tempo di dare uno sguardo alle carte, così come bene ha fatto il sindaco Francesco Rucco a ricordare come le opposizioni negli ultimi 10 anni siano state poco o nulla ascoltate in tema di progetti infrastrutturali. Eppure non va sottaciuto come l’assessore Cicero e le sue dichiarazioni siano finite in un amen nell’occhio del ciclone di polemiche che hanno una precisa genesi: sono la reazione delle categorie e dei “poteri forti” della città che non ci stanno a vedere sempre tutto rimesso in discussione. Fino alle 11 di martedì 14 agosto 2018 sarebbe stato fin troppo facile e scontato schierarsi con Claudio Cicero e con una idea di mobilità più rispondente al modello di città reale. Oggi è più difficile, anche se bisogna resistere all’impulso del “facciamo come viene, purché si faccia”. Probabilmente la strada corretta è quella che non fa perdere un minuto alle infrastrutture, anche se testardamente si discute di ogni passaggio.
Molto diversa, oggi, è anche la considerazione che si deve offrire alla revisione del progetto per il Parco della Pace. Strutture pronte per accogliere la protezione civile, infrastruttura in grado di far atterrare e decollare piccoli velivoli ed elicotteri pur mantenendo una enorme superficie a parco verde. In queste settimane anche questa idea sembra aver catalizzato critiche da parte di vari potenti, e da parte di quei famosi comitati del “No” che in città non volevano la base militare americana e che non sono riusciti a smobilitare nemmeno dopo che quella base è stata costruita dalle fondamenta al tetto. E siamo di nuovo al confronto fra ambiente e infrastrutture, fra conservazione e progresso. E allora oggi – in un Paese che non sa prendersi cura praticamente di nulla – io preferirei andare avanti, piuttosto che precipitare nel vuoto.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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