5 Giugno 2017 - 9.31

EDITORIALE- La scuola “ignorante”: un modello inutile e che va cambiato subito

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Siamo entrati nell’ultima settimana di scuola e a breve le pagine dei giornali e le scalette dei telegiornali si riempiranno di uno di quegli argomenti ricorrenti quanto inutili che sono gli esami di maturità.
Migliaia di giovani studenti in tutta Italia si troveranno ad affrontare l’esame più inutile della loro intera carriera con un dispendio di energie fisiche e mentali che non ha paragoni.
Ragazzi che sono stati continuamente e regolarmente interrogati e verificati su tutte le materie del loro curriculum per cinque lunghi anni, si troveranno a dover affrontare l’esame davanti ad una commissione solo in parte formata dai loro insegnanti. Se sono stati ammessi agli esami è ovvio che sono preparati, ma troppo spesso il risultato dell’esame – per motivi che sono impalpabili e imprevedibili come l’ansia da prestazione o la paura – finisce per essere al di sotto delle aspettative e del merito. Poco male, del resto, perché il voto dell’esame di maturità è quanto di più inutile possa esistere: nessuno lo chiede, nessuno ne tiene conto, non ha alcun peso nella successiva carriera dei ragazzi.
Quello che stupisce maggiormente è che negli ultimi 10-15 anni, l’università italiana ha subito un grande cambiamento e la scuola media superiore sembra esserne rimasta del tutto all’oscuro. Le università, infatti, hanno abbandonato il sogno dell’istruzione di massa e sono andate inesorabilmente verso una forma di organizzazione d’élite. Tutti i corsi ormai prevedono il superamento di test d’ingresso che non sono affatto pensati per verificare conoscenze o competenze, ma per sfoltire il numero dei candidati verso una quantità che sia affrontabile dai singoli corsi di laurea. Un numero di studenti insomma che non sia eccessivo per gli spazi a disposizione e il numero di docenti che l’università può permettersi.
Ciò che stupisce è che i licei – che sono stati pensati per preparare i ragazzi all’università – sembrano non essersi accorti di questo cambiamento e continuano a sviluppare un programma in cinque anni che prepara sì all’inutile esame di maturità ma non prepara affatto ai test di ingresso. Le stesse scuole superiori, che potevano un tempo giustificare l’esame di Stato come forma di accertamento pubblico delle capacità di professionisti poi chiamati a responsabilità pubbliche – penso ai geometri ad esempio – non si sono rese conto che ormai nessuno più entra nel mondo del lavoro o accede alla professione appena uscito dalla scuola superiore. Certo non in posizioni di diretta responsabilità. Eppure continuiamo a voler fare questo esame di maturità.
Un Paese che volesse costruire un sistema più armonico potrebbe seguire una strada semplice. Ridurre la lunghezza della scuola superiore a quattro anni, come negli altri Paesi europei, abbandonare l’esame finale a favore di una serie di corsi che diano l’opportunità di preparare i test di ingresso alle università, ridurre il grado di complicazione e cercare di favorire le inclinazioni personali degli studenti.
Ma fino a quando i diversi gradi di istruzione si guarderanno in cagnesco, preferendo ignorarsi reciprocamente, saranno solo gli studenti a doversi arrangiare e le loro famiglie a dover investire risorse e tempo per aiutare i figli ad imbastire una preparazione che oggi le scuole non offrono. Perché si può anche uscire dal liceo con un bel cento all’esame, ma se poi non si supera il test per l’università si perde un anno ed è come essere stati promossi dalla scuola e bocciati dalla vita.

di Stefano Diceopoli

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