2 Dicembre 2018 - 11.06

EDITORIALE- La Lega di Salvini e M5Stelle: perché al Nord sarà spaccatura

Della “questione meridionale” si discute più o meno sin dall’Unità d’Italia, ed il diverso sviluppo economico, ammesso che per il sud si possa parlare di sviluppo, hanno condizionato il dibattito politico di tutto il Novecento. Già dal 1860 le Regioni del Nord hanno sempre rivendicato una propria “diversità” rispetto a quelle del Sud. C’era una sorta di luogo comune che già allora rivendicava l’idea di un settentrione progredito, operoso e fattivo, contrapposto ad un meridione assistenzialista, arretrato e passivo.

Le ingenti risorse riversate nei decenni nelle regioni meridionali non sono di fatto riuscite ad invertire la rotta, e il gap invece che colmarsi si è addirittura allargato, tanto che mentre le regioni del nord competono con le più ricche regioni europee, quelle del sud sono ormai stabilmente il fanalino di coda dell’Europa.

Le ragioni sono molteplici, dalla tradizionale debolezza della struttura produttiva, alla morsa delle varie mafie, n’dranghete, sacre corone unite, camorre.

La domanda a questo punto è se esista una “questione settentrionale”.

Questo tema divenne di attualità allorché verso gli anni ’80 del secolo scorso nacquero le varie “Leghe” in Veneto, Lombardia, Piemonte, che agli albori vennero poco considerate, e addirittura irrise come fenomeni folcroristici. Con le elezioni del 1992 la classe politica al potere non poté più ignorare il fenomeno, e da quel momento si cominciò a parlare di “questione settentrionale”. E fu soprattutto dal Veneto che all’inizio veniva la più forte rivendicazione di una propria autonomia.

Queste Leghe nacquero non a caso nelle Regioni che avevano guidato il processo unitario italiano, e si basarono a mio avviso sulla constatazione che sviluppo e ricchezza non bastavano più, e diventava necessario prendere in mano la direzione della politica nazionale, fino ad allora delegata alle élites politiche meridionali. A parte De Gasperi e Rumor non vi furono Presidenti del Consiglio settentrionali.

Saltando a piè pari l’ “era Bossi”, che comunque governò per un decennio, con l’avvento di Salvini la “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” è diventata semplicemente “Lega per Salvini premier”, con il chiaro obiettivo di diventare una forza politica “nazionale”, e dai sondaggi sembra che ci stia riuscendo.

La domanda a questo punto è quasi obbligata: la questione settentrionale è quindi definitivamente superata ed archiviata?

Io sono convinto di no, ed anzi il “connubio forzato” fra Lega e M5S a mio avviso la sta riportando prepotentemente di attualità.

E che il problema in qualche modo esista sembrerebbe confermato dal fatto che qualche giorno fa a Padova, alla tradizionale presentazione del rapporto della Fondazione Nord Est sulla competitività delle imprese, pur avendo confermato la loro presenza, alla fine sia il sottosegretario Giorgetti, sia il Governatore del Fvg Fedriga, sia il nuovo Presidente della Provincia autonoma di Trento Fugatti alla fine hanno dato forfait. I più maliziosi suggeriscono che la mossa sia stata suggerita dalle preoccupazioni di dover affrontare qualche contestazione da parte degli imprenditori nordestini.

Come vi dicevo, penso che la questione settentrionale stia ritornando alla grande perché è sempre più evidente che il M5S stia mostrando la sua vera natura, quella di sindacato territoriale del Mezzogiorno.

I cittadini del nord non vogliono certo l’assistenzialismo, la nazionalizzazione di aziende decotte a spese dei contribuenti, l’aumento della spesa pubblica improduttiva, lo scontro all’ultimo sangue con l’Europa, tema quest’ultimo per la verità cavalcato con determinazione anche dalla Lega. I cittadini del nord al contrario vogliono sviluppo, investimenti, apertura internazionale, e quindi il completamento delle grandi opere. Perché è inutile accelerare sempre più i tempi di produzione in fabbrica, se poi le merci prodotte si mettono in coda e perdono ore su una rete viaria ed infrastrutturale che forse andava bene ai tempi di Napoleone Bonaparte.

E non è certamente un caso se i giornali del Nord est danno sempre più spazio ai malumori che serpeggiano fra gli imprenditori. Malumori che verranno rilanciati dalle manifestazioni previste a dicembre per criticare la politica economica del governo. Il 3 a Torino i consigli generali dell’associazionismo d’impresa, il 13 a Milano gli artigiani del Nord Italia, nei giorni successivi a Verona le forze produttive locali.

I ceti produttivi del nord sembrano cioè poco propensi ad abbracciare l’idea di un’Italia autarchica che affidi il proprio rilancio alla svalutazione competitiva, magari dopo aver ripristinato la vecchia liretta, il tutto in una prospettiva di “decrescita felice”. Parimenti paiono poco attratti dall’idea sovranista, che contrasta con una realtà di economie integrate, con cui le aziende venete, ed in generale del nord, hanno imparato a confrontarsi, risultando vincenti.

Non ho la sfera di cristallo, e non so certo se e quanto durerà il Governo Gialloverde. Ma una previsione mi sento di farla. Se Salvini non si smarcherà da certe proposte “deliranti”, tipo il reddito di cittadinanza come proposto del M5S, nelle regioni settentrionali ricominceranno a riprendere fiato i movimenti “autonomisti”, come alle origini.

La politica non ammette “vuoti”, e il desiderio di “staccarsi” dal resto dell’Italia, costi quel che costi, a mio avviso non si è mai sopito del tutto, e ci potrebbe essere chi quell’istanza sarebbe pronto a riproporla e rilanciarla, ritirando fuori dai cassetti le bandiere con il leone di San Marco o con Alberto da Giussano.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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