14 Settembre 2016 - 11.24

EDITORIALE – Come la Gran Bretagna va a sbattere contro un muro

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Di Marco Osti

È sconcertante il sostanziale disinteresse con cui è stata accolta la notizia che la Gran Bretagna entro l’anno intende costruire un muro a Calais, per contrastare il tentativo di migranti, perlopiù del campo profughi in territorio francese definito La Giungla, di attraversare la Manica.
Una misura di sicurezza, secondo Robert Goodwill, ministro britannico per l’Immigrazione, in particolare a favore dei camionisti, che spesso si trovano a dover fronteggiare il tentativo di usare i loro mezzi per arrivare a Dover.
La soluzione, definita in accordo con la Francia, non sembra però trovare riscontro su questo versante, perché tra i più decisi contestatori del progetto c’è proprio l’associazione degli autotrasportatori britannici, in particolare la Road Haulage Association considera l’opera uno spreco di risorse, nella convinzione che i migranti proveranno comunque soluzioni alternative, con maggiori rischi e possibili ulteriori e più gravi pericoli.
La sicurezza appare quindi più una giustificazione per una scelta, che, di fatto, segue in modo troppo coincidente quella della Brexit, decisa con il referendum di giugno, e sancisce il processo con cui la Gran Bretagna sta spingendo se stessa verso l’idea di un mondo diviso da steccati, timoroso dell’altro, contrario alla libera circolazione delle persone.
Un mondo diverso da quello che immagina chi crede in un’Europa unita, aperta e solidale, ma anche in contraddizione con la globalizzazione che proprio i Paesi più evoluti socialmente ed economicamente, come la Gran Bretagna, hanno sempre sostenuto, senza oggi però volerne affrontare le conseguenze, tra cui una delle più evidenti e profonde è la migrazione di popoli.
Senza entrare nel merito del progetto e nei suoi dettagli, l’operazione del muro rappresenta la sconfitta di un Paese di fronte a questo processo epocale, di portata straordinaria per complessità e popolazioni coinvolte, che riguarda la generazione attuale e quelle future e andrebbe affrontato con lungimiranza, capacità di analisi e progettualità.
Farlo costruendo muri è un segnale gravissimo e pericoloso, che rischia di fare sempre nuovi proseliti, e dimostra l’arroganza e l’egoismo di chi vive sulla paura delle persone, alle quali i leader democratici devono essere capaci di offrire un’alternativa di speranza, con progetti concreti e atti coraggiosi, come quello di non farsi irretire dalla scelta più semplice, ma deleteria, di costruire steccati.
Lo dimostra la storia, anche quella recente del Novecento, la cui lezione molti stanno dimenticando o non hanno mai appreso.
Un secolo in cui un muro simbolo contro la circolazione di persone e idee, come quello di Berlino, ha dimostrato che porre divieti alla libertà produce solo una reazione avversa, tanto più potente quanto più sono forti le privazioni.
È una concezione che si scontra con la natura dell’uomo di andare oltre la collina che limita il suo sguardo, di superare il fiume che impedisce il suo cammino, di attraversare i mari che dividono da altre culture e possibilità.
E la prima libertà che non si può impedire agli esseri umani di esercitare è quella di cercare il benessere per sé e per i propri cari.
In fondo il tema della migrazione è tutto qui.
Nessuno un giorno si sognerebbe di abbandonare la propria casa, i propri famigliari e amici, gli affetti più profondi, per andare ad affrontare i pericoli del mare, per nascondersi nella cabina di un camion, per rischiare la vita, se dove vive gode di un benessere accettabile per un essere umano.
Se oggi milioni di persone decidono di mettersi in marcia significa che dove si trovano non hanno più neanche la speranza di poter avere un futuro.
Di fronte a un evento di tale portata serve che si attivi la politica degli uomini giusti e saggi, quella che non fugge di fronte ai problemi, soprattutto se enormi, costruendo un muro, ma è capace di programmare e costruire il futuro dei popoli.
Questa politica non crea ostacoli e divisioni, ma li abbatte o li modella per creare più possibilità per tutti e per trovare soluzioni realizzabili.
La Gran Bretagna è un Paese che ha criticato altri muri eretti di recente in Europa, come quelli in Austria e Ungheria, che ha una cultura democratica e liberale innata e secolare, che ha avuto un ruolo determinante per sconfiggere muri ideologici come quelli del nazismo e del comunismo.
Oggi però conferma invece la allarmante tendenza avviata con la Brexit di volersi arroccare a difesa del proprio benessere, senza che vi siano leadership politiche liberali in grado di contrastare, in termini di proposta e di visione futura, le idee individualistiche e populiste che la stanno pervadendo e che sono in Europa propulsori di pericolose e diffuse spinte nazionalistiche.
L’umanità è di fronte a sfide gigantesche per il proprio futuro, come il riscaldamento globale, il terrorismo e in generale la gestione e regolarizzazione della globalizzazione e per vincerle non può nascondersi dietro un muro e rifiutare un dibattito serio e concreto di cui devono essere protagonisti i Paesi più organizzati e ricchi del pianeta, anche accettando di programmare una redistribuzione del proprio benessere.
La Gran Bretagna con il suo muro rifiuta di affrontare questa sfida e dichiara di preferire il ritorno a un mondo diviso da muri e steccati.
Un mondo che ha determinato le condizioni per lo scoppio di conflitti e guerre devastanti.
Come il Novecento ha insegnato.

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