26 Marzo 2018 - 13.37

EDITORIALE – Moro, dopo 40 anni nuove polemiche, lo stesso dolore

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In questi giorni di marzo, nel 1978, Aldo Moro è tenuto prigioniero dalle Brigate Rosse in un covo dal quale esce, per andare incontro alla morte, nella mattina di martedì 9 maggio dello stesso anno.

In quel momento sono passati 55 giorni dall’inizio del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, iniziato con la strage di via Fani, in cui i terroristi uccidono i cinque uomini della scorta.

Dallo scorso 16 marzo, giorno dell’eccidio e dell’inizio della prigionia nell’autoproclamata, dalle Brigate Rosse, “Prigione del Popolo” sono stati innumerevoli gli articoli, le commemorazioni e i programmi televisivi che hanno ricordato il quarantennale di quel tragico fatto storico.

Una tra le trasmissioni rievocative più criticate è stata la puntata di Atlantide, su La7, condotta da Andrea Purgatori, nella quale erano intervistati brigatisti, come Prospero Gallinari e Valerio Morucci, componenti del commando che agì in via Fani.

A sconvolgere maggiormente molta parte della pubblica opinione è stato vederli parlare in libertà, raccontare fatti ed esprimere opinioni, in assenza di contraddittorio, da quelle che sembravano le loro abitazioni.

È evidente che tutto ciò abbia generato sconcerto, rabbia e dolore nei parenti delle vittime e in molti cittadini.

Allo stesso tempo questa situazione e la trasmissione assumono valenza emblematica delle contraddizioni e dei nodi irrisolti che persistono rispetto a ciò che è avvenuto in Italia nel periodo tra gli anni Settanta e Ottanta, definito da Sergio Zavoli La Notte della Repubblica, nel titolo di un programma televisivo e in un omonimo libro.

Le Brigate Rosse in quegli anni svolgono un ruolo centrale, sebbene sia ancora aperto il dibattito su cosa realmente fossero e da cosa nasceva una formazione di quel genere, in un Paese che negli anni Sessanta raggiunge, peraltro in relativo breve tempo, un benessere mai provato in oltre due secoli precedenti.

In effetti nello stesso lasso di tempo in nessun’altra parte d’Europa movimenti politici di contestazione o di matrice rivoluzionaria prendono la strada della lotta armata e nemmeno c’è contro lo Stato, soprattutto uno Stato democratico, una forza terroristica di tale portata, se non la banda Baader Meinhof in Germania, anche se in modo meno strutturato e per meno tempo.

Queste palesi incongruenze vanno però valutate considerando, allo stesso tempo, che in quel periodo in nessun altro Paese del continente ci sono, come in Italia, stragi di Stato, compiute da vari esponenti neofascisti, in cui non è ancora chiaro del tutto il ruolo di servizi segreti deviati, a partire da piazza Fontana, piazza della Loggia a Brescia, per proseguire con l’attentato del 4 agosto 1974 sul treno espresso Italicus, diretto da Roma al Brennero.

Quel treno da cui, come raccontato nella stessa trasmissione Atlantide, viene fatto scendere all’ultimo momento proprio Aldo Moro da uomini degli apparati di sicurezza dello Stato, perché deve firmare urgentemente alcune carte.

Secondo qualcuno, in quel modo, già allora, 4 anni prima del suo rapimento, il politico democristiano viene salvato con l’implicito messaggio che può essere colpito ovunque, se continua con la sua politica di distensione verso il Partito Comunista, che nel 1978 avrebbe probabilmente dato per la prima volta appoggio esterno a un governo Dc, guidato da Andreotti, nel voto di fiducia in Parlamento, previsto per quel famoso e tragico 16 marzo.

Del resto, negli stessi anni, in nessun altro Paese europeo c’è il maggior partito comunista dell’Occidente e una loggia massonica assume una deriva eversiva verso lo Stato ed è coinvolta, con ambienti e terroristi neofascisti, in più stragi.

Si tratta, come noto, della P2, sciolta con apposita legge il 12 gennaio del 1982, a cui appartengono, si scopre in seguito, quasi tutti i componenti del comitato di crisi istituito presso il Ministero degli Interni per liberare Moro.

È in questo scenario solo italiano che nasce e si propaga la galassia di formazioni terroristiche di destra e di sinistra, in cui le Br svolgono un ruolo centrale, dichiarandosi partito che fa politica con le armi, per sovvertire l’ordine costituito attraverso la rivoluzione del proletariato.

Da qui nasce la guerra allo Stato che loro inventano, proclamano e combattono, mentre il Paese si divide nella valutazione se è in atto un reale conflitto o se invece si tratta di semplici delinquenti, pur feroci e organizzati.

Alla base delle motivazioni di chi, soprattutto nel Pci e nella Dc, non vuole trattare per liberare Moro vi è proprio il rifiuto di riconoscere politicamente le Br, i cui esponenti sono da subito etichettati come meri assassini e criminali.

Nel programma Atlantide emergeva chiaramente la distinzione di posizioni tra chi ritiene sia stato giusto scegliere la linea della fermezza e chi invece avrebbe trattato, anche se ciò significava dare un ruolo politico alle Brigate Rosse.

Le polemiche successive sono conseguenza anche di queste due concezioni e della scelta di fatto assunta della fermezza, fonte del fatto che i terroristi siano quindi stati giudicati per i fatti da loro compiuti personalmente, come altri delinquenti comuni, con le stesse logiche processuali, le medesime eventuali attenuanti, gli identici benefici di legge detentivi e sconti di pena e le corrispettive possibilità di reinserimento nella società.

Per questo oggi i protagonisti di quegli anni possono lavorare fuori dal carcere, avere permessi o, se scontata la pena, essere a piede libero.

Lo prevede il codice penale e quello Stato di Diritto di un Paese democratico, come il nostro, la cui difesa è alla base della lotta fatta contro le Br.

Qualsiasi scelta comporta conseguenze, come altre ci sarebbero state con la linea della trattativa, che avrebbe, forse, salvato Moro, ma anche prodotto ulteriori dinamiche, non sappiamo se peggiori o migliori.

Le polemiche sul programma Atlantide dimostrano in ogni caso che quella ferita non è chiusa e che il Paese non ha compiutamente fatto i conti con il passato, su ciò che era il terrorismo e sulle scelte che sono state fatte.

Servirebbe probabilmente una visione distaccata, che gli italiani non hanno e pare non possano avere, mentre è più facile per chi non ha vissuto sulla propria pelle quel periodo e le sue tragedie.

Non è quindi un caso che il programma messo in onda da La7 sia una produzione francese, per la quale ascoltare, senza contraddittorio, il racconto di un ex brigatista su come si svolsero i fatti in quei 55 giorni assume mero valore di resoconto ed è evidentemente più concepibile e certamente meno doloroso.

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