22 Luglio 2017 - 13.41

EDITORIALE- G8 Genova una ferita che sanguina ancora: errori, omissioni, scuse tardive

Dal Capo della Polizia uno squarcio di dignità sulle istituzioni

di Marco Osti

Ci sono voluti 16 anni.
Un periodo lungo, troppo lungo, ma, finalmente, quel segnale di civiltà che le istituzioni avrebbero dovuto dare da tanto tempo sulla gestione dell’ordine pubblico durante il G8 di Genova del 2011 è arrivato.
Lo ha fatto in una intervista a La Repubblica dello scorso martedì 19 luglio (http://www.repubblica.it/politica/2017/07/19/news/_il_g8_di_genova_fu_una_catastrofe_gabrielli_e_le_responsabilita_di_quei_giorni_al_posto_di_de_gennaro_mi_sarei_dimesso_-171106339/) l’attuale capo della Polizia Franco Gabrielli, dicendo che la gestione dell’ordine pubblico a Genova fu un disastro; che il Capo della Polizia di allora Gianni De Gennaro avrebbe dovuto dimettersi “senza se e senza ma”; che a Bolzaneto ci fu tortura e che la Polizia nel suo complesso è sana e quindi non deve temere una legge sulla tortura o la possibilità di identificare gli agenti.
È un atto coraggioso quello del Capo della Polizia, perché affronta temi per lunghi anni evitati, lasciando spazio al continuo svilupparsi di partiti contrapposti tra sostenitori e antagonisti della Polizia, come lui stesso evidenzia.
È un atto necessario, perché in questi giorni scadono i termini di interdizione dai pubblici uffici dei poliziotti condannati per quanto accadde alla Scuola Diaz e al Paese era necessario un messaggio chiaro, che il loro eventuale reintegro avviene in una Polizia che sta facendo i conti con quanto avvenuto.
È un atto di chiarezza, perché consente di comprendere quali sono le dinamiche politiche e giuridiche che hanno portato a condannare chi ha eseguito la mattanza alla Diaz e in modo marginale chi ha spento la luce della democrazia a Bolzaneto, grazie al fatto che ai tempi non esisteva una legge contro la tortura.
Quella legge, diventata effettiva lo scorso 18 luglio e approvata dopo molte polemiche e la contrarietà di esponenti politici come Matteo Salvini, che al solito ha cavalcato una campagna a fini propagandistici, senza accorgersi in tal modo di consentire alibi ai pochi che usano la divisa in modo improprio, mentre le migliaia di poliziotte e poliziotti che servono fedelmente uno Stato democratico e di Diritto non possono e non devono temere una tale norma.
I giorni dal 19 al 22 luglio di sedici anni fa sono un tunnel buio per l’Italia e la sua democrazia, culminato, dopo la tragedia della morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, nella irruzione della Polizia alla scuola Diaz, dove manifestanti inermi, riunitisi per passare la notte, furono arrestati essere stati picchiati con violenza inaudita perché in possesso di armi che in realtà non avevano.
Ma quello era solo l’inizio del buco nero in cui in quei giorni fu catapultata la storia democratica della nostra Repubblica, perché le persone che non furono costrette al ricovero, a seguito del brutale pestaggio, vennero portate nella caserma di Bolzaneto, dove subirono varie forme di sevizie, vessazioni, umiliazioni morali e fisiche.
Per ore donne e uomini, ragazze e ragazzi, italiani e stranieri, vennero picchiati, obbligati a stare in piedi per ore con le mani alzate, denudati, costretti ad abbaiare, a saltare, a fare capriole, mentre subivano minacce e insulti di carattere sessista.
Dopo interminabili ore, squassate da urla e lamenti, la Polizia dovette interrompere la sua folle mattanza per portare i detenuti, ma è più aderente alla realtà chiamarli prigionieri, davanti ai pubblici ministeri che dovevano confermarne o meno l’arresto.
In quel momento lo Stato di Diritto del nostro Paese, per molte ore cancellato e oltraggiato, riprese il sopravvento sulla barbarie e praticamente tutti furono rilasciati.
Sono passati 16 anni da allora e quindi dobbiamo celebrare questo tragico e triste anniversario per non dimenticare la ferita aperta nella coscienza civile del nostro Paese che quel tunnel rappresenta, nella speranza che sia stato aperto solo per un tragico cortocircuito nelle menti degli uomini che perpetrarono tali nefandezze e sia poi stato richiuso e sigillato per sempre.
Sono passati 16 anni da allora e oggi grazie al Capo della Polizia uno squarcio di dignità illumina le nostre istituzioni, passando attraverso la foschia appiccicosa creata da personaggi come Vincenzo Scajola, ministro dell’Interno ai tempi del G8 di Genova, che in questi giorni ha dichiarato di essere stato lui a respingere le dimissioni di De Gennaro, per non destabilizzare le istituzioni.
Risulta sempre spiazzante la leggerezza con cui viene richiamato il valore delle istituzioni da un personaggio come Scajola, lo stesso che appellò il giuslavorista Marco Biagi, ucciso dalle Brigate Rosse, come un “rompi coglioni” perché chiedeva dallo Stato una protezione che avrebbe potuto salvargli la vita e che un bel giorno si è trovato padrone di un appartamento fronte Colosseo a “sua insaputa”.
Lui per primo avrebbe invece dovuto dimettersi per non aver saputo tutelare i cittadini del suo Paese e per avere in quei giorni contribuito a svilire quelle istituzioni cui si richiama della loro nobiltà democratica.

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