15 Maggio 2017 - 13.46

EDITORIALE – Alpini utili ma obsoleti come la leva obbligatoria?

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di Stefano Diceopoli

Questo sito pubblica una bella intervista di Ilaria Rebecchi ad uno scrittore impegnato nella produzione di prequel di Rambo, forse il personaggio più combattivo della storia del cinema contemporaneo. E nel frattempo la ministra della difesa Pinotti partecipa all’Adunata del Piave e annuncia che si potrebbe anche pensare ad una leva nazionale per la protezione civile.
In Italia siamo arrivati a rendere inattiva la leva militare nel 2005 e dopo non poche battaglie civili e politiche e non senza polemiche. A destra si è detto che in questo modo si toglieva ai giovani l’amor di Patria, da sinistra che un esercito di professionisti avrebbe consegnato alla destra la difesa del paese.
Quello che è certo è che l’Adunata degli alpini, ormai, assomiglia più ad una sfilata delle case di riposo che ad una iniziativa di orgoglio militare. Gli alpini sono vecchi, nostalgici e sotto il cappello grigio-verde c’è sempre più calvizie che capelli, fra le mani non ci sono moschetti ma bastoni e stampelle. Gli alpini sono sempre meno e le loro adunate durano sempre di più, perché sfilare non è facile e marciare è diventato solo un ricordo.
Gli alpini e la loro Associazione Nazionale sono una istituzione importante per l’Italia. Nel tempo hanno costituito gruppi di protezione civile in grado di mobilitarsi in tempi molto rapidi, sono organizzati e capaci, fanno della loro autosufficienza un vanto e possono essere impiegati nei più disparati servizi. Il volontariato che sono in grado di dispiegare in Italia è fondamentale: lo abbiamo visto nelle zone terremotate, in occasione di calamità naturali come le alluvioni e le nevicate. Quando la popolazione è in difficoltà, gli alpini arrivano, montano un tendone, allestiscono le cucine e in un battere di ciglia sono in grado di mettere la gente al riparo e di fornire loro un pasto caldo. Sono anche particolarmente bravi a realizzare lavori di ristrutturazione e annualmente si contano in milioni di euro i lavori che realizzano in quasi completa gratuità per il paese.
Il problema è che sono vecchi, e diventano sempre più vecchi. Presto spariranno per evoluzione naturale. Ciò che li unisce è il fatto di aver servito durante il periodo della leva militare, di aver condiviso difficoltà e scomodità, di aver sviluppato uno spirito di corpo che – dopo la leva – si rinsalda e diventa in qualche modo romantico.
Il paese, però, ha deciso che la modernità imponeva altre scelte. Le caserme sono state chiuse, smantellato il vasto e complicato sistema della leva, della selezione, del comando e controllo. Sono stati ridotti gli organici di ufficiali e sottufficiali, l’esercito si è trasformato in qualcosa di diverso da quello che gli alpini possono ricordare.
Ora il ministro Pinotti vagheggia di un ritorno alla leva obbligatoria per il servizio civile. Questo sarebbe sufficiente a rimpinguare poi le fila degli alpini come li conosciamo oggi?
Credo di no, dal momento che verrebbe a mancare il cameratismo, la condivisione di un periodo di vita passato in caserma. Del resto, al di là della retorica, chiediamoci: era davvero utile quell’anno di vita buttato via in una caserma del Friuli o del Veneto? Certo i nostalgici ancora oggi affermano che ai giovani servirebbe un anno di naja per formare il carattere e diventare veri uomini.Chi la naja l’ha fatta, siamo sinceri, ne ha tratto per prima cosa l’insegnamento a non offrirsi mai volontario, a schivare la follia di una organizzazione militare fanfarona e retorica. Chi ha fatto il militare non vorrebbe tornare indietro, ricorda magari con simpatia le amicizie strette allora, ma sa benissimo di non aver imparato nulla e di aver dovuto resistere ad un certo lavaggio del cervello verso i falsi miti della forza, della violenza, della morte bella e gloriosa. Li ricordo solo io i sergenti che, per non proununciare la parola “sinistra” facevano svoltare la truppa sempre a destra e poi a destra e ancora a destra fino a tornare al punto di partenza? Ma è questo ciò di cui abbiamo bisogno?
La competizione mondiale già ci vede in difficoltà, con ragazzi che escono dalla scuola superiore dopo cinque anni, anziché i quattro che sono la norma un po’ ovunque in Europa e negli Stati Uniti. I nostri giovani completano la loro istruzione più tardi e con maggiore difficoltà rispetto ad altri paesi e questo li pone in svantaggio rispetto ai loro colleghi. Vogliamo anche aggiungere un nuovo peso, quello del servizio civile obbligatorio e far perdere loro altri otto mesi di vita? E in ogni caso abbiamo le strutture, le competenze e le capacità per impiegare tutti e impiegarli bene? Basta dare uno sguardo al processo di delegittimazione che è in atto nei confronti delle Organizzazioni Non Governative che si occupano di migranti e di accoglienza per rendersi conto che non è così, non potrebbe essere così. Prendiamo i ragazzi e li infiliamo dentro le sezioni degli alpini? Per fargli fare cosa? Con quale fine?
Mettete un fiore sui vostri fucili, dicevano i pacifisti negli anni ’60, mettete un libro nelle mani dei giovani, dico io oggi. Anche se si tratta di un tablet o di un computer. La cultura è l’unico mezzo per difendersi davvero, l’istruzione il mezzo per arrivare da qualche parte nella competizione della vita. Non servono “veri uomini” ma uomini che abbiano la capacità di ascoltare e di comprendere e l’unico mezzo per capire è togliersi l’uniforme, calare il cappello con la penna nera, e studiare, imparare, confrontarsi, aprirsi alla diversità e alla modernità.

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