18 Febbraio 2021 - 9.51

Draghi santo subito! Farà la fine degli altri?

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di Alessandro Cammarano

E venne il tempo di Draghi, che detta così potrebbe essere il titolo di uno di quei filmoni epico-mitologici made in Hong-Kong in cui un eroe, incompreso e solitario, libera la Cina di mille anni fa dalla minaccia di un invasore o dalle trame di un perfido mandarino.
Le aspettative sul già presidente della BCE e ex governatore della Banca d’Italia – ma pure uomo di fiducia di Goldman Sachs, per dovere di cronaca – sono cresciute a dismisura negli ultimi mesi sino a fare di Draghi una sorta di creatura mitologica, un novello Bellerofonte capace di affrontare – a cavallo di Pegaso – e sconfiggere la Chimera della pandemia e di riportare l’Italia ad un’età dell’oro degna di un secondo Rinascimento.

Che il governo Conte – trovatosi per altro a dover gestire una situazione inimmaginabile e che nella prima ondata di diffusione del virus aveva fatto oggettivamente un buon lavoro – avesse i giorni contati lo si era capito da tempo, così come era chiaro che lo scalpitante Matteo Renzi, detto il Mr. Bean de’ noantri, aveva astutamente disseminato di polpette avvelenate il già di per sé accidentato percorso dell’esecutivo giallorosso.

Altrettanto chiaro che il tifo di Matteo “3%” andava tutto a Draghi ed era funzionale a una sua, per altro legittima e condivisibile, ascesa alla presidenza del consiglio.

Intendiamoci, sullo spessore della persona non si discute e il discorso pronunciato al Senato per richiederne la fiducia è stato uno dei migliori di sempre, paragonabile a quello del suo maestro Carlo Azeglio Ciampi; si è volato altissimo, è stata presentata una visione di Paese di ampio respiro e comunque di assoluta concretezza: una sorta di libro dei sogni realizzabili. Si aggiunga che di cultura e spettacolo dal vivo, prima di lui, non aveva parlato nessuno.

L’italiano, purtroppo, è tanto facile agli entusiasmi subitanei quanto rapido nel disinnamorarsi: succede con i calciatori, con gli allenatori e ovviamente anche con i politici; il timore di una fine rapida della luna di miele con il neopresidente è molto più che fondato. Basterebbe ricordare l’aura taumaturgica attribuita a Mario Monti o la venerazione per Roberto Formigoni, passati in un lampo dalle stelle alle stalle. Un capitolo a parte meriterebbe l’infatuazione universale per Bettino Craxi, il cui passaggio dalle ovazioni a Montecitorio alle monetine all’hotel Raphael si compì in un battito di ciglia.

Tornando ai “plauditores” – che nella Roma antica erano quelli che, pagati, accompagnavano il potente di turno magnificandone le doti a voci alta – al momento superano di gran lunga i diffidenti.

Nelle scorse settimane abbiamo letto dichiarazioni di esponenti renziani descrivere le doti taumaturgiche di Draghi, spesso senza nominarlo apertamente ma rendendolo chiaramente riconoscibile nel tratteggiare la figura di un novello San Giorgio – perdono, San Mario – capace di affrontare e distruggere qualunque “drago” che non sia lui.

Lo spento segretario del Partito Democratico si era speso parecchio in lodi sperticate, non arrivando per un pelo a parlare di “uomo della Provvidenza”, ma ci è mancato davvero molto poco.

Su Draghi si è spesa con lusso di interventi più o meno tutta la stampa coturnata dei quotidiani “mainstream”, lanciandosi in lodi sperticate tanto da rasentare il ridicolo, tanto che se fossi Draghi mi sarei infastidito parecchio, visto che il neopresidente ha fatto dell’“understatement” uno degli aspetti fondamentali del suo operare.

Anche i social media hanno fatto la loro bella parte: a fare un giro approfondito su Twitter si scoprirebbero post-santino infarciti di hastag del tipo #draghisantosubito, #draghisalvatore e #draghimiracolo; l’ultimo è inventato, ma definisce lo stato di eccitazione dei draghifans.

Tristissimi i “convertiti”, ovvero quelli per i quali “la BCE ha distrutto l’Italia” o “ci voleva mandare la troika” erano mantra da recitare centinaia di volta al giorno, e che da un secondo dopo l’annuncio di Mattarella – lui sì vero grande artefice del cambio di passo di questa legislatura schizofrenica – del conferimento dell’incarico già si professavano seguaci devoti di Supermario: la piccineria italica è sempre dietro l’angolo.

Chi scrive non è abituato a concedere la propria fiducia in maniera incondizionata, ma non può dimenticare quel “Whatever it takes” che salvò l’Europa; quindi, anche alla luce della replica al dibattito parlamentare, si colloca tra gli “speranzosi” … al netto di “intergruppi” e twittaroli entusiasti.

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