7 Maggio 2021 - 9.54

Diciamo “no” alla dilagante idiozia del politically correct

Il polverone mediatico sollevato da Fedez al concertone del 1° Maggio, con le ventilate accuse di censura alla Rai, ha riportato al centro dell’attenzione mediatica anche il tema del cosiddetto Disegno di legge Zan sull’omotransfobia. Non ho alcuna intenzione di dilungarmi sul monologo di Fedez, che considero comunque fuori contesto, sia per il luogo (la Festa del lavoro), sia per il pulpito da cui proviene. Ma l’incondizionato sostegno del noto rapper al Ddl che porta il nome del deputato padovano, espresso per di più senza alcun contradditorio, mi spinge a fare qualche riflessione su questo tema scivoloso quanto divisivo, anche alla luce del fenomeno del politically correct. Sul Ddl Zan mi limito a dire che a mio avviso dovrebbe essere forse un po’ più meditato, magari tenendo conto anche delle osservazioni di chi non lo condivide. In particolare perchè, anche se a onor del vero il Ddl prevede norme di matrice squisitamente penalistica, è innegabile che si muove su un “campo minato”, su una materia che va ad intaccare principi millenari, che hanno regolato la vita degli uomini e delle donne. Sono certo che la stragrande maggioranza di voi avrebbe qualche difficoltà a rispondere alla domanda: cos’è il gender?Perchè è un concetto un po’ border line, che non rientra nel sentire comune, dato che individua l’appartenenza a uno dei due sessi dal punto di vista “culturale” e non biologico.E quando si parla di quali siano i gender, la risposta è che si tratta di categorie che possono comprendere transessuali, transgender, intersessuali, cross-dresser (per i quali non risulta appropriata la vecchia definizione di “travestiti”) e altre persone la cui identità di genere o di espressione sia, o venga considerata, diversa dall’identità sessuale attribuita alla nascita.Tagliando con l’accetta si può dire che l’identità di genere non c’entra con l’anatomia. Infatti uno dei mantra più comuni della comunità LGBT è che «il genere non è binario, è uno spettro», cioè che non esistono solo un genere femminile e un genere maschile, ma uno spettro continuo di generi tra questi due estremi. Quindi secondo queste teorie il genere non è un dato oggettivo, che una volta veniva scandito a chiare lettere dall’ostetrica al momento della nascita (maschio o femmina!), bensì la percezione che ciascuno ha di sé, ed addirittura quello che uno si auto attribuisce. Capite bene che con queste basi si aprono scenari ai quali, a mio modesto avviso, la società attuale nel suo complesso non è ancora preparata.Ecco perchè ritengo che una legge del genere non possa esser considerata come una sorta di “trofeo” da appendere nella bacheca di certa gauche, bensì il risultato di una maturazione consapevole dell’intera cittadinanza. Ed il fatto che ci siano molti dubbi anche nel mondo dei gay e delle lesbiche, la dice lunga di quanto la situazione, anche a sinistra, sia più complessa di quello che sembra.  Sia chiaro che comprendo, e condivido, l’intendimento di combattere i pregiudizi che penalizzano ancora omosessuali maschi o femmine, transessuali o quant’altro, e concordo sulla necessità di porre fine a certe ingiuste discriminazioni, magari anche con la repressione di tipo penalistico, ma qui mi fermo, in quanto non condivido teorie orientate a rimodulare fondamenti millenari, e forse anche a ridefinire la natura umana.Non mi andrebbe cioè assolutamente bene se alla fine si arrivasse a discriminare, o addirittura perseguire, chi mantiene diverse concezioni della natura umana, diciamo più “tradizionali”.In sintesi non sarebbe accettabile se, alla fine della fiera, un cittadino qualunque non potesse più dire liberamente ad esempio che una famiglia è tale solo se composta da un uomo ed una donna, o che l’utero in affitto è un abominio, senza correre il rischio di incorrere nei rigori della legge penale.Io credo che normative che in qualche modo rimettono in discussione cos’è un uomo e cos’è una donna, richiedano processi di maturazione sociale, che al momento non mi sembra di riscontrare nella maggioranza degli italiani.Da ultimo non sono neppure contrario all’introduzione il 17 maggio di ogni anno di una Giornata nazionale “contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia, la transfobia”, ma non ritengo certo opportuno, come riportato da alcuni giornali, che la si debba far entrare nei percorsi scolastici delle elementari e delle medie. Qui non parliamo di mafia o di antisemitismo, e bambini o ragazzi giovanissimi potrebbero avere qualche scompenso confrontando la loro realtà familiare, fatta solitamente di una mamma e di un papà, con teorie che declinano l’umanità non al maschile e al femminile, bensì in identità piuttosto evanescenti ed indefinite.Ho parlato all’inizio del politically correct, perchè da qualche anno nelle èlites progressiste iper borghesi dell’Occidente, si sta imponendo un’ideologia radicale che vuole imporre i suoi valori nella società di massa, e che non ammette dissensi.  E fra questi ”nuovi” valori sembrano rientrare anche le teorie “gender”.In generale il politically correct è un orientamento ideologico e culturale che mira al rispetto verso tutti, in particolare qualsiasi minoranza, evitando ogni potenziale offesa.Lo abbiamo visto negli anni con modifiche nel linguaggio, con termini che di fatto sono stati banditi dall’uso comune, come ad esempio “negro”, ormai percepito come una parola “razzista”, sostituito da espressioni come “di colore”, o “afro-americano”, o simili.Ma finche ci si limita alle consuetudini linguistiche, che trasformano lo stradino in “operatore ecologico”, il cieco ed il sordo in “non vedente o non udente, il bidello in “operatore scolastico non docente”, poco male.Il problema si pone a mio avviso quando si arriva a mettere in discussione la storia, con manifestazioni ed iniziative che finiscono per scadere anche nel ridicolo.Ad esempio negli ultimi tempi, in seguito all’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti, abbiamo assistito al montare di una protesta sfociata nella distruzione e nella vandalizzazione di statue e monumenti, considerati simboli di un passato coloniale, dal quale dissociarsi. E quindi via la statua di Cristoforo Colombo a Richmond, e quella di Edward Colston a Bristol.Ma poiché noi italiani siamo molto inclini ad importare le mode degli statunitensi, qualcuno ha pensato bene di deturpare la statua di Indro Montanelli a Milano.E magari si tratta dello stesso mondo “progressista” che inorridiva di fronte alla barbarie dell’Isis contro i monumenti antichi, distrutti dalla furia islamista in Siria o in Irak, tipo le porte assire di Ninive, o la Grande Moschea di Aleppo, o i tesori di Palmira, o le statue dei Budda di Bamiyan, caduti sotto le cannonate dei talebani iconoclasti. A mio avviso c’è un fil rouge che lega l’ossessione del politicamente corretto in Occidente, con la degenerazione integralista del mondo islamico. Ma questo nuovo fanatismo arriva a vette che, come accennavo, francamente sfiorano il ridicolo, toccando persino il mondo del cinema. E così il film “Via col vento” è stato prima tolto dalle piattaforme, perchè “contiene una rappresentazione stereotipata e razzista del popolo afroamericano”, e poi reintrodotto con un disclaimer che ne contestualizza il periodo storico in cui è stato girato.Ma la cura “Via col Vento” è arrivata anche al catalogo della Disney, che ha deciso di censurare altre pellicole storiche come “Dumbo”, “Fantasia”, “Il libro delle giungla” , “Peter Pan”, “Gli Aristogatti”, “Lilli e il vagabondo” cancellati dallo spazio junior della piattaforma, perchè in qualche modo colpevoli di razzismo. Per arrivare, ciliegina sulla torta, a “Biancaneve”. Già perchè il femminismo ultra integralista americano, sempre nel segno del politicamente corretto, si è scagliato contro la figura del Principe azzurro, equiparato ad una sorta di stupratore perchè bacia Biancaneve finchè dorme, e quindi con un “bacio non consensuale”.Ma l’apoteosi è che si starebbe pensando addirittura di cambiare la frase pronunciata dallo specchio in risposta alla Regina da “Sei tu la più bella del reame” a “Ognuna è bella a modo suo”, il che stravolgerebbe l’intero significato della fiaba, basato proprio sulla gelosia della Regina.E’ chiaro che applicare i criteri etici dell’oggi al passato significa mancare di senso della storia. Il passato va studiato, esaminato, contestualizzato.Diversamente si arriva al fanatismo, all’iconoclastia, alla cancellazione della storia.Il che non vuol dire che i fatti storici non debbano essere valutati, e che certe ideologie non possano essere criticate. Ma critica non vuol certo dire epurazione, cancellazione, perchè diversamente, passo dopo passo, da Giulio Cesare, sterminatore di Galli, a Thomas Jefferson “stupratore razzista”, non si salverebbe nessuno. Forse neanche Gesù Cristo, per la sua nota avversione verso farisei e mercanti del Tempio.Io credo che l’unica terapia contro la dilagante idiozia del politically correct di certa cultura sedicente liberal, ma in realtà totalitaria ed integralista, sia la ragione.Quella ragione che ci suggerisce che rimane sempre attuale la nota frase di Heinrich Heine: “Dovunque si bruciano i libri, si finisce per bruciare anche gli uomini”. 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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