20 Febbraio 2020 - 9.35

Dalle maschere alle… mascherine: dov’è finito il nostro caro Carnevale?

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Di Umberto Baldo

Forse è solo una sensazione, ma mi sembra che quest’anno il Carnevale sia meno gioioso del solito.
Mi sembra cioè di vedere meno bambini in maschera, meno coriandoli sui marciapiedi, meno voglia di festeggiare.
Un carnevale in “tono minore” potrebbe anche essere una conseguenza delle notizie che giungono dalla Cina, relative all’epidemia di coronavirus, e si sa che la paura toglie il sorriso dalle labbra.
Scherzando un po’, si potrebbe dire che le “maschere” hanno ceduto il posto alle “mascherine” sanitarie!
Sicuramente una delle capitali mondiali del Carnevale, Venezia, quest’anno ha visto un clima meno festaiolo, con un drastico calo dei turisti che in questo periodo dell’anno si accalcavano nelle calli, nei campielli,  e in Piazza San Marco per gli appuntamenti più noti e gettonati.
Quello del 2020 sarà ricordato in laguna come il “Carnevale ai tempi della crisi”, con meno presenze, alberghi meno occupati, feste cancellate.
Una vera e propria “mazzata” per gli operatori turistici veneziani, che si aggiunge a quella conseguente all‘ “aquagranda” dello scorso novembre, i cui effetti sui “foresti” si sentono ancora oggi.
Certo questo non è un bel momento, ma sono sicuro che alla fine la gente non rinuncerà del tutto ad una delle feste più sentite.
Ma da quando si festeggia il Carnevale?
Forse qualcuno pensa che sia nato a Venezia, ma in realtà si tratta di una festa che ha origini molto antiche.  Come al solito quando si parla di tradizioni, non abbiamo inventato nulla, ed infatti la risposta la troviamo nel mondo greco-romano, sulla cui cultura si è inserita e sovrapposta poi quella del Cristianesimo.
Innanzi tutto il nome Carnevale, secondo l’etimologia più accreditata, ma non esclusiva, deriverebbe dalla locuzione “carnem levare”, che significa “eliminare la carne”.  L’etimologia farebbe cioè riferimento al banchetto che si sarebbe tenuto l’ultimo giorno di Carnevale, il martedì grasso, quindi immediatamente prima del periodo di digiuno ed astinenza della Quaresima, che come noto inizia dal “mercoledì delle ceneri”.
Le prime testimonianze dell’uso del vocabolo “carnevale” vengono dai testi del giullare Matazone da Caligano alla fine del XIII secolo, e del novelliere Giovanni Sercambi verso il 1400.   A Venezia il primo documento in cui si cita ufficialmente il Carnevale come “festa pubblica” è un editto del Senato della Serenissima del 1296, ma già dal 1271 si hanno notizie di botteghe artigiane specializzate nella produzione di maschere.
Per gli antichi romani la festività corrispondente al Carnevale era quella in cui si celebravano i “saturnalia”, in onore del dio Saturno, ed erano giorni in cui era permesso, e quasi incoraggiato, un gioioso rito collettivo in cui veniva sovvertito ogni ordine, quello fra classi sociali, sessi, religioni, gerarchie costituite.
Era il periodo in cui lo schiavo era promosso padrone, ed il padrone serviva lo schiavo. In cui si realizzava una sorta di sospensione di tutte le norme, con il  caos che si sostituiva all’ordine costituito, che però, esaurita la festa, riemergeva rinnovato e garantito per un altro ciclo vitale, fino all’inizio del carnevale seguente.   In fondo era una  sorta di “valvola di sfogo” del mondo pre-moderno: di fronte a ingiustizie e diseguaglianze pesantissime, al popolo veniva concesso di essere “re” per un giorno, di sbeffeggiare i potenti e vessarli come loro vessavano gli altri, ma nel tempo e nello spazio limitato della festa.
E’ chiaro che lo scatenarsi delle licenziosità, la violazione di tutti i divieti, la coincidenza di tutti i contrari, tipici dei saturnalia e poi del carnevale, non potessero essere visti di buon occhio dalla Chiesa cattolica.
La quale non riuscì ad estirpare del tutto la tradizione, ma sicuramente contribuì ad incanalarla verso un clima meno “orgiastico” rispetto a quello dei secoli precedenti.
Sicuramente un campione fra i “nemici” del Carnevale fu Fra’ Girolamo Savonarola, che nella Firenze del XV secolo, al trionfo della vita impersonato da Lorenzo il Magnifico, sostituì l’annuncio della morte e del giudizio finale.  Ed il 7 febbraio 1497, non a caso un martedì grasso, il frate organizzò un gran falò in Piazza della Signoria, in cui bruciarono specchi, cosmetici, vestiti di lusso, arpe, bombarde, cetre, liuti, cornamuse, profumi, livree, carte da gioco, libri considerati immorali, manoscritti con canzoni profane, dipinti, fra cui ad esempio quelli di artisti come Sandro Botticelli.
Ma, come succede nella storia per tutti i “purificatori”, Fra’ Savonarola finì anche lui su un rogo, ed il Carnevale è sopravvissuto al suo “falò delle vanità”.
Con la sua carica di gioia, in cui il travestimento costituisce l’essenza stessa della festa, dove maschere e costumi sono gli strumenti indispensabili per la trasgressione, la leggerezza, la spensieratezza, il divertimento.
Abbiamo già accennato a Venezia, il cui Carnevale, che raggiunse il massimo splendore nel settecento, continua ad essere uno dei più conosciuti al mondo.
In cui ci sono momenti di grande emozione e risonanza, quali il volo dell’Angelo, con una donzella che viene calata dal campanile di San Marco, la Festa delle Marie, che prevede un corteo acqueo che accompagna dodici ragazze dalla Chiesa di San Pietro in Castello fino a Piazza San Marco dove viene proclamata la più bella, e la lotta tra Nicolotti e Castellani, che vede la sfida in esercizi di forza, equilibrio e coraggio fra gli abitanti dei due quartieri  più popolosi della città.
Io credo che la peculiarità della festa del Carnevale stia nel fatto che, a differenza di altre ricorrenze, unisce grandi e bambini.
Anzi si potrebbe dire che è un modo per i grandi di ritornare bambini, allegri e spensierati, approfittando di questi giorni per giustificare trasgressioni e stramberie.
E questa convergenza fra generazioni prende forma e si concretizza nelle festicciole mascherate organizzate dai genitori per i loro figli, trasformando la casa in una ambiente adatto alla festa, fra ghirlande, festoni, stelle filanti, palloncini, e…..  dolci del carnevale.
Perché Carnevale è un po’ la festa di tutti i nostri sensi.
La vista appagata dalla fantasmagoria dei colori delle maschere e dei costumi, che a Venezia trova la sua sublimazione.
L’udito, colpito dal rumore e dalla musica, ed il tatto, incantato dal contatto con la magnificenza di certi tessuti e materiali con cui sono confezionati maschere e costumi.
Ma sono soprattutto l’olfatto ed il gusto ad essere investiti e travolti dai dolci tipici del carnevale.
Per me l’odore tipico del Carnevale è quello dell’olio in padella, perchè i dolci caratteristici di questi giorni sono per la maggior parte fritti.
In genere si tratta di dolci semplici, buoni e gustosi.
Che nel nostro Veneto sono sostanzialmente tre: le frittelle, i galani e le castagnole.
Le “frìtole” o “frìtoe” sono diffuse in tutta la nostra Regione, e sono a ragione considerate il dolce tipico del carnevale di Venezia.  La “frìtola venexiana” è preparata con una pastella di uova, farina, latte, uva sultanina, pinoli e zucchero; fritta e spolverata con zucchero semolato.  A seconda della zona, ne esistono numerose varianti, con riso, patate, mele, grappa, e per i più golosi c’è la “lussuria” delle “frìtole” ripiene di zabaione o crema pasticcera.  Se fatte bene  sono buone da “svenire”!
I galani, chiamati così nei territori compresi fra Venezia e Verona, sono forse il dolce di carnevale più diffuso in Italia.  Nelle altre Regioni sono noti come “frappole”, “bugie”, “crostoli”, “chiacchiere”, ma la ricetta è sempre quella: farina, burro zucchero e uova, con l’aggiunta di un sorso di “graspa” o di altro liquore.  L’impasto viene tagliato a strisce, che vengono poi fritte e spolverate con zucchero a velo.
Le castagnole, che nel nostro Veneto sono più conosciute come “favette”, sono fatte sostanzialmente con lo stesso impasto dei galani.  La differenza è che le favette sono “palline”, anch’esse poi fritte in olio bollente.
Siamo ormai agli ultimi giorni del carnevale 2020, che finirà martedì 25 febbraio.
Siamo quindi ancora in tempo per dimenticare, magari per poche ore, gli affanni e le difficoltà del vivere quotidiano; per lasciarci andare, per abbandonarci allo spirito del carnevale, che resta la festa più travolgente dell’anno.
Un po’ di trasgressione e di pazza gioia, in attesa dei giorni di magra quaresimali.
Perchè, come scriveva Lorenzo il Magnifico nei Canti Carnascialeschi: “…del doman non v’è certezza”.

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