19 Gennaio 2017 - 12.25

Da Trump alla Brexit, il mondo di fronte a cambiamenti epocali

Il 2017 potrebbe essere un anno cruciale per la definizione di nuovi assetti politici ed economici mondiali, come conseguenza di eventi e condizioni che si sono verificati durante lo scorso anno.
Due principali fattori che possono condizionare questi processi sono l’elezione di Donald Trump a nuovo presidente degli Stati Uniti e l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Il nuovo inquilino della Casa Bianca succederà a Barack Obama il prossimo 20 gennaio, con il tradizionale giuramento a Washington, presso la sede del Congresso di Capitol Hill, ma già durante il periodo trascorso dalla sua elezione ha mandato messaggi di netta rottura con il predecessore e in generale con la linea politica ed economica tenuta in questi anni dagli Usa.
Trump, in più occasioni, oltre a ribadire concetti e proposte già avanzate in campagna elettorale, come l’idea di costruire un muro al confine con il Messico, su cui i cambiamenti di idea e i distinguo si sprecano, ha nominato in posti chiave dell’amministrazione donne e uomini che si sono distinte in passato per posizioni radicali e spesso perlomeno discutibili e ha indicato una linea protezionistica, in termini economici, che lascia presagire un progressivo isolazionismo americano.
Non a caso l’ex ministro Giulio Tremonti, uno dei pochi politici italiani presenti alla cerimonia del giuramento, nei giorni scorsi ha dichiarato che il nuovo presidente Usa rappresenta il segno della fine della globalizzazione e della sua idea di un mondo aperto e senza frontiere.
Su questa lunghezza d’onda si pone peraltro la premier inglese Theresa May, che ha dichiarato, finalmente, come intende portare il suo Paese fuori dalla Ue, applicando quanto deciso dai suoi concittadini nello scellerato referendum concesso dal suo predecessore David Cameron.
Quella tracciata dalla leader conservatrice è una impostazione che prevede per la Gran Bretagna libertà di azione sul piano giuridico ed economico, con però la volontà di negoziare con la Ue soluzioni che di fatto le consentano di avere gli stessi vantaggi del mercato unico.
Insomma l’idea è “avere la botte piena e la moglie ubriaca” e, se così non fosse, la May ha già ventilato la minaccia di trasformare il suo Paese in una sorta di paradiso fiscale, dove fare approdare imprese e capitali sottraendoli agli altri stati europei.
Uno scenario che quindi non vuole isolare la Gran Bretagna, ma lasciarla libera di agire a suo piacimento, mentre Trump, che non perde occasione per contrapporsi all’Europa e ha addirittura posto in dubbio il mantenimento dell’impegno nella Nato, sul piano economico minaccia ritorsioni per le imprese, soprattutto dell’automobile, che non produrranno sul suolo americano.
I due Paesi sono quindi tornati a leadership conservatrici e autoreferenziali, come quelle di Blair e Bush, e si trovano quindi in una condizione che lascia presagire sempre più stretti legami e unità di intenti, in una logica tutta concentrata a conseguire benefici solo per se stessi.
Legittimo, ma del tutto deprecabile, considerando come proprio dal mondo anglosassone, che Usa e Gran Bretagna per primi rappresentano, e a seguito delle politiche sociali ed economiche, individualistiche e liberiste attuate prima delle amministrazioni Obama e Cameron, è scoppiata la devastante crisi economica che ha sconvolto il mondo dal 2008.
Senza dimenticare che proprio questi due Stati, sempre quando erano guidati da Bush e Blair, invasero alleate l’Iraq sulla base di prove, relative alla possibilità di usare armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, che si rivelarono del tutto false e manipolate.
Ora Stati Uniti e Gran Bretagna tornano a quelle logiche e provano a smarcarsi da impegni che si erano assunti, per godere solo dei relativi vantaggi.
Posto che siano realmente tali, valutando, rispetto alla Brexit, i segnali di indebolimento della sterlina, le previsioni che molti fanno sul futuro economico di Oltremanica e la forte opposizione della Scozia all’uscita dal consesso europeo, con la più volte annunciata ipotesi di avviare un processo di uscita, tramite referendum, dal Regno Unito.
In ogni caso anche questi sono effetti del populismo e delle conseguenti idee nazionaliste dilaganti nel mondo occidentale, che in Italia vede sempre affollato il fronte dei suoi seguaci, da Grillo a Salvini, e dei relativi sostenitori, convinti che anche l’Italia sarebbe rafforzata da politiche di questo genere, senza considerare che l’economia italiana non ha la solidità di quella statunitense e di quella di Oltremanica e che il resto del mondo non starà a guardare senza reagire.
L’Europa potrebbe provare ad esempio a cambiare passo e intensificare processi di unificazione, non solo economica, ma anche politica e legislativa, rispetto ai quali c’era sempre stato un pesante veto britannico.
In quest’operazione potrebbe certamente svolgere un ruolo importante l’Italia, se non si abbandona alle suggestioni populiste di cui si diceva, riprendendo proposte già avanzate in tal senso con precedenti governi, e soprattutto alla luce dell’elezione di Antonio Tajani a presidente del Parlamento europeo, che vede alla guida un leader italiano dopo 38 anni.
Un segnale importante per il nostro Paese in termini di riconoscimento politico e di autorevolezza, che dovrà trovare conferme coerenti nelle prossime linee politiche unitarie.
Sicuramente – senza in quest’ambito fare valutazioni che riguardano la situazione in Medio Oriente, il terrorismo e la variabile determinante rappresentate dalla Russia, dal suo asse con la Turchia e la vicinanza a Trump – non starà a guardare nemmeno il mondo orientale e soprattutto la Cina, che probabilmente rappresenta la vera e più solida potenza economica mondiale.
In questo senso costituisce una svolta storica la presenza del presidente cinese Xi Jinping al Forum economico mondiale di Davos, dello scorso 17 gennaio, e un elemento ancora più dirompente il suo discorso, nel quale ha sostenuto la globalizzazione e politiche liberali, nonostante l’impostazione dirigista e protezionistica che ha sempre caratterizzato il suo Paese.
Su questa linea dietro la muraglia cinese andranno quindi fatti molti cambiamenti, e grandi passi avanti in tema di diritti civili e dei lavoratori e di apertura al mondo, ma il messaggio inviato da Xi si configura come di netta distanza da quelli di Theresa May e soprattutto di Donald Trump, evidenziando come nell’ordine mondiale si stanno muovendo scenari nuovi e tutto ciò che finora sembrava inamovibile, da linee politiche ad alleanze, è in discussione e potrà subire cambiamenti epocali fino a pochi anni fa inimmaginabili.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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