22 Aprile 2020 - 9.30

Coronavirus: gli anziani e la nostra pietas

In tutta Europa è in corso un “senicidio”, una sorta di eutanasia sociale basata sull’età anagrafica, di triage su larga scala in cui si è posto il problema di scegliere se dotare di un respiratore un vecchietto con i suoi acciacchi pregressi od una persona più giovane.E’ accaduto e accade in tutti i Paesi, dall’Olanda dove gli over 70 hanno ricevuto un bel modulo in cui si impegnano, in caso di coronavirus, a non ricoverarsi in ospedale per non sottrarre posti a chi ha più possibilità di guarire, alla Spagna dove nei primi giorni della pandemia  l’esercito è entrato in alcune case di riposo trovando condizioni di totale abbandono, con personale scappato, e anziani lasciati morti sui letti.  O in Inghilterra dove Johnson prima di ammalarsi ammoniva gli inglesi di prepararsi ad accettare “decine di migliaia di morti” per raggiungere l’immunità di gregge, o in Svezia dove le autorità sanitarie hanno fatto sapere che “se i numeri dovessero continuare ad aumentare, i malati di Covid-19 con più di 80 anni, e gli over 60 già affetti da altre malattie, verranno esclusi dalle cure mediche” (anche se venduta come prescrizione eventuale).Ma questi sono solo alcuni esempi, perchè è logico pensare che la situazione non sia diversa in tutti i Paesi colpiti dal coronavirus. Infatti secondo i dati raccolti dall’ International long-term care policy network – un gruppo di ricerca che fa capo alla London School of Economics – in Belgio, Francia, Irlanda, Italia e Spagna gli anziani morti nelle strutture residenziali per cause legate al nuovo coronavirus sono tra il 42 e il 57 per cento del totale dei decessi per covid-19. In Italia la cifra è del 53 per cento ed è stata calcolata dopo aver contattato 2.166 strutture su un totale di 4.629 presenti sul territorio nazionale.Sgombro subito il campo da qualche possibile obiezione.Il mio obiettivo non è quello di lanciare strali contro una Regione piuttosto che un’altra, di puntare il dito alla ricerca di colpevoli, di partecipare al gioco più praticato in Italia; quello della ricerca del capro espiatorio, evitando di individuare le cause profonde del fenomeno. Molto modestamente intendo proporre qualche riflessione sul tema degli anziani, drammaticamente scoppiato in occasione dell’epidemia di Covid 19.E parto da un’immagine narrata da Virgilio nel Libro II° dell’Eneide, quella della fuga di Enea da Troia in fiamme.  Enea lascia la città ormai perduta portando sulle spalle il vecchio padre Anchise, e per mano il figlio Ascanio. In una sorta di alleanza fra generazioni, in cui chi è più forte aiuta chi per età è in difficoltà, sia esso anziano o bambino. Voglio pensare che la nostra civiltà sia quella di Enea che porta Anchise sulle spalle, e non quella dello scarto o degli effetti collaterali.Quella cultura su cui ritorna spesso Papa Francesco, da lui definita “pericolosa e inaccettabile cultura dello scarto, come conseguenza della crisi antropologica che non pone più l’uomo al centro, ma ricerca piuttosto l’interesse economico, il potere e il consumo sfrenato”.E qualche dubbio è legittimo relativamente alla misure di contenimento del virus decise un po’  dappertutto.  Ovunque le Istituzioni, sia pure prese alla sprovvista, hanno visto da subito che i rischi maggiori erano per le persone anziane,  eppure hanno deciso per il distanziamento sociale, hanno chiuso scuole ed Università, abolite la partite di calcio, pranzi e cene ai ristoranti, chiuso le fabbriche non strategiche, vietato assembramenti e finanche le passeggiate, ma hanno “prestato poca attenzione” alle case di riposo per anziani ed alla Rsa, che hanno finito per trasformarsi in focolai di contagi e di morte, lasciando di fatto il virus libero di diffondersi proprio nei luoghi in cui si concentrano le “vittime designate”.Da “case di riposo” a “case di riposo eterno”! E qui viene spontaneo chiedersi: che spessore etico può avere una società che tralascia proprio i più deboli?   Che è disposta ad accettare che nella guerra contro la pandemia la scomparsa di migliaia di anziani venga considerata una sorta di “danno collaterale”?A meno che non abbia ragione Giuliano Ferrara che ha scritto: “ma se il coronavirus funzionasse pandemicamente come una grande scrematura, facendo fuori molti della mia età e oltre a tutte le latitudini, molti con le “patologie pregresse” nei cinque continenti eccetera, ne sortirebbe un mondo più ricco, più eguale, più libero, più produttivo, più pronto ad affrontare il futuro? Non voglio neanche pensare che qualcuno possa anche solo ragionare a questo livello di cinismo. È vero che con la scienza e la medicina abbiamo conquistato la vecchiaia per la gran parte della popolazione, ma poi rischiamo di non saperla né affrontare con cura e attenzione, né valorizzarla per la ricchezza che rappresenta per le famiglie e per la società stessa. Gli anziani sono un patrimonio prima che un peso. E lo sono soprattutto per i giovani, ai quali hanno l’opportunità di trasmettere tesori di antichi saperi,  di valori,  di tradizioni altrimenti destinate all’oblio.Ma lo sono anche per tutti, perchè in questi anni in cui domina l’effimero e l’oblio, in cui conta solo ciò che appare in rete, in cui tutto è spettacolo e tutto diventa consumo, i vecchi rappresentano la memoria di un mondo che non c’è più, il valore degli affetti e dei ricordi.Ecco perchè, mi ripeto, la civiltà nasce da quel rapporto parentale, ma soprattutto umano, che lega Enea al vecchio Anchise ed al giovane Ascanio.Se si spezza quel legame non c’è più consorzio umano, non c’è più pietas avrebbero detto gli antichi, ed allora diventa accettabile il sacrificio dei più deboli.   E la cosa diventerebbe più grave in questa nostra Europa dai capelli grigi. Si usa dire che la vita è una ruota che gira per tutti. Quando siamo giovani siamo indotti ad ignorare la vecchiaia, vista come un qualcosa di lontano nel tempo, quasi fosse una malattia; ma quando inesorabilmente arriva, con i suoi acciacchi e le sue debolezze, allora sperimentiamo tutti le carenze di una società programmata principalmente sull’efficienza dell’individuo.Ed al riguardo mi torna in mente questa favoletta che mi raccontava mio papà quando ero bambino: “ C’era un volta  un nonno anziano che nel mangiare si sporcava perché non poteva portare bene il cucchiaio alla bocca con la zuppa. Il figlio, cioè il papà della famiglia, aveva deciso di spostarlo dalla tavola comune e mise un tavolino in cucina, in disparte così non faceva brutta figura quando gli amici venivano a pranzo o a cena.  Pochi giorni dopo trovò il figlio piccolo che giocava con legno, martello e chiodi. ‘Cosa fai?’. ‘Faccio un tavolo, papà, per averlo pronto quando tu diventi anziano, così puoi mangiare lì”.Credo valga la pena di soffermarsi sulle parole del bambino della favola, perchè quando l’epidemia finirà, come sono finite tutte le pandemie della storia, sarà necessario mettere in agenda una diversa visione del mondo.Sarà necessario rimettere in campo la “pietas”.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

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