22 Ottobre 2020 - 10.11

Contagio da Covid: dobbiamo rassegnarci alla guerra

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Non fosse che quella che stiamo vivendo è una drammatica realtà, l’atmosfera di questi giorni assomiglia alla trama di un film di matrice apocalittica sulle pandemie, tipo “Contagion” ad esempio.  Quelle pellicole in cui gli attacchi dei virus si susseguono l’uno dopo l’altro, in città sempre più spettrali in preda ad un‘isteria collettiva.Oggi assistiamo ad una recrudescenza della pandemia da Covid-19 che, pur prevista per l’inverno, è arrivata molto prima, con un’escalation dei contagi stupefacente.Sfido chiunque a confessare che avrebbe immaginato che in ottobre si sarebbe ritornati alla situazione dello scorso marzo. Certo non si parla ancora di lockdown totale, e speriamo non se ne parli mai, ma in questa “seconda ondata” assistiamo ad una maggiore determinazione delle Regioni nel cercare di prendere il toro per le corna, assumendo decisioni impopolari, finalizzate a fare in modo che la curva dei contagi si impenni con gradualità, ed il sistema sanitario, in particolare gli ospedali, non vada fuori controllo. Ricordiamo ancora i colpevoli tentennamenti nel decidere le zone rosse in Lombardia, tentennamenti che hanno portato alle tragedie di Nembro ed Alzano, ed in generale di tutta la bergamasca, con le colonne di camion militari a trasferire le bare con i morti.La lezione è evidentemente servita alle autorità regionali, tanto è vero che da giovedì in Lombardia le scuole superiori applicheranno la didattica a distanza, e verrà attivato il “coprifuoco” dalle 23 alle 5 del mattino.Coprifuoco; parola sinistra, minacciosa, che evoca periodi bellici, ma che in realtà etimologicamente rimanda al gesto di spegnere il fuoco e ricoprirlo con la cenere. Quel gesto che anticamente andava fatto in ogni casa, ad una certa ora della sera, per evitare il rischio che divampassero incendi. Era l’ora in cui, appunto, le campane suonavano il coprifuoco. A quella stessa ora, di solito, venivano chiuse le mura della città e scattava il divieto di uscire di casa.La Lombardia ha deciso di adottare per prima in Italia una misura che da alcuni giorni funziona a Parigi (con tanto di sirena all’orario di inizio) ed in altre città francesi, e che subiranno a breve anche gli abitanti di Madrid.Ma a ruota la Lombardia è stata seguita dalla Regione Campania, che oltre al coprifuoco notturno ha anche deciso il divieto degli spostamenti sul territorio regionale.Anche Zingaretti ha deciso per la Regione Lazio il coprifuoco a partire venerdì dalle ore 24 alle 5, nonché la didattica a distanza per il 50% delle scuole superiori, ed in parte anche per l’Università. Il Piemonte per il momento si è limitato alla chiusura dei centri commerciali nei week end.In Veneto, pur a fronte di una consistente crescita delle infezioni, Luca Zaia continua a dire che “in questo momento il tema del lockdown assolutamente non c’è, non lo prendiamo in considerazione”.Bisogna riconoscere che, quanto all’adeguamento delle terapie intensive, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Val d’Aosta, sono le sole regioni che si sono attrezzate per tempo. Non c’è alcun dubbio infatti che le drastiche misure decise da Fontana e De Luca siano dettate, oltre che dall’esplosione del numero dei contagi, dalla situazione ospedaliera, che vede un progressivo riempimento dei posti disponibili in terapia intensiva, con tutti i rischi connessi, fra cui, da non trascurare, quello di non essere in grado di curare adeguatamente i cittadini affetti da altre malattie, quali gli infartuati o i malati di tumore.C’è da dire che, anche relativamente al Veneto, parliamo sempre della fotografia della situazione attuale, il che non esclude che misure che oggi non vengono prese in considerazione, nell’immediato futuro diventino necessarie per arginare la pandemia.  E francamente non sono ottimista al riguardo.  Sono infatti disposto a scommettere una somma che la “rottura dell’argine” deciso dalla Lombardia sarà contagioso, e che in pochi giorni buona parte delle Regioni italiane si allineeranno, adottando coprifuoco e didattica a distanza nelle scuole.   Non è che queste nuove limitazioni siano state accolte da tutti con tranquillità e rassegnazione.Il coprifuoco ad esempio azzoppa di nuovo i ristoranti, le trattorie, le pizzerie, i bar, che rischiano di veder fuggire i clienti, e di conseguenza i titolari di queste attività sono in subbuglio, con tanto di proteste in piazza.Non si può liquidare con un’alzata di spalle la loro rabbia, perchè  si stavano risollevando dopo i mesi del lockdown, e nonostante gli investimenti fatti per adeguare i locali alle prescrizioni ed alla diminuzione dei coperti, vedono calare sulle loro teste una nuova tegola. E’ comunque evidente che le loro ragioni si attenuano di fronte al problema della salute di tutti i cittadini, che queste nuove misure tendono a salvaguardare.Ma queste proteste, queste insofferenze, non sono diffuse solo fra baristi e ristoratori, e non mi riferisco certamente alla galassia dei no vax, no mask, e dei negazionisti in genere.Pur nella consapevolezza della gravità della situazione, sensazioni di insofferenza cominciano a cogliersi anche in molti altri cittadini.Quando il coronavirus ha cominciato a diffondersi nella scorsa primavera, le persone hanno annullato matrimoni e vacanze, hanno smesso di fare visita ai nonni, si sono chiuse nelle loro case, per quello che pensavano sarebbe stato un breve periodo di isolamento necessario per far fronte all’infezione dilagante.La presa di coscienza allora c’è stata, e i cittadini hanno reagito con ammirevole disciplina.  E non crediate che sia stata la paura delle multe a fare stare in casa gli italiani; ci vuol altro se la gente non è convinta.  Sono stati i mesi in cui si cantava l’inno nazionale a squarciagola alle finestre, e si esponevano i tricolori nei balconi.  I mesi dei disegni dei bambini con gli arcobaleni, accompagnati  dalla frase “Andrà tutto bene”, diventata in breve un vero e proprio invito collettivo alla speranza.Con il ritorno del virus, dopo il calo estivo dei contagi, che aveva forse illuso che il peggio fosse alle spalle, la situazione psicologica degli italiani è cambiata.E non è un caso che non ci siano più le bandiere ed i cori, e che nessuno si arrischi a dire ancora “Andrà tutto bene”.Da otto mesi l’Europa è alle prese con il coronavirus, ed ora buona parte della popolazione, in alcuni casi fino al 60% degli intervistati secondo i sondaggi di Economist e YouGov, sta sperimentando una sensazione di sfinimento, che rischia di renderla meno attenta al rispetto delle regole.Quindi, oltre al virus, c’è un’altra patologia altrettanto pericolosa che ci minaccia, la cosiddetta “Fatica da pandemia”.Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la “Pendemic fatigue” è una naturale reazione ad una situazione che dura da molto tempo, e di cui non si intravvede la fine.  E che si verifica, secondo la virologa Ilaria Capua “quando i pazienti, ma anche le strutture sanitarie ed i decisori politici perdono energie, si immobilizzano”.Probabilmente, e per fortuna, siamo solo all’inizio di questa “sindrome collettiva” perchè, sempre secondo l’OMS,  “I sondaggi confermano che la maggior parte della popolazione sostiene le risposte nazionali al Covid-19, il che è notevole dopo quasi un anno di lockdown e restrizioni, ma la stanchezza rende le precedenti campagne di sensibilizzazione  meno efficaci”.E che sia così lo conferma ad esempio il fatto che per indurre gli italiani ad un uso costante delle mascherine il premier Giuseppe Conte abbia deciso di chiedere l’aiuto di Fedez e Chiara Ferragni, e di altri influencer.Perchè a lungo andare la fatica da pandemia potrebbe diffondere l’idea che le misure di prevenzione non servano a nulla, inducendo sempre più persone a ritenere erroneamente che le limitazioni siano un costo troppo alto da pagare rispetto al rischio posto dalla malattia.E che si tratti di un rischio reale lo troviamo nelle parole, si potrebbe dire profetiche, di Albert Camus nella sua opera “La Peste”, quando scrive: “La conseguenza più grave dello sfinimento che pian piano prendeva tutti coloro che continuavano la lotta contro il flagello non era tanto questa indifferenza agli eventi esterni e alle emozioni altrui, quanto la trascuratezza cui si lasciavano andare. (…) Sicché quegli uomini si ridussero troppo spesso a ignorare le norme igieniche da loro stessi stabilite…”.E ad aumentare questa “stanchezza da Covid”, oltre alle limitazioni alla vita sociale e lavorativa, contribuiscono anche lo stress, e l’ansia per il futuro e per le prospettive economiche.Il rischio è sicuramente maggiore per i giovani, che a differenza delle persone più mature potrebbero essere tentati di infrangere le regole perchè percepiscono che per loro i danni possibili dal virus sono meno letali.Non sono uno psicologo, ma mi rendo conto che alla lunga non sarà facile contrastare questa sindrome sociale.Ritengo che un mezzo sia quello di tenere sì alta la guardia, ma facendo pervenire ai cittadini messaggi chiari e comprensibili, e non come sta accadendo fin dall’inizio della pandemia, una massa di informazioni e di norme contrastanti.   Questo spetta non solo alla politica, ma anche alla scienza, visto certi spettacoli cui abbiamo dovuto assistere, con illustri cattedratici impegnati a “beccarsi come i polli di Renzo”.In estrema sintesi bisogna far passare il messaggio che da questa pandemia si esce solo con la buona volontà di tutte le persone, che decidono di accettare questa sfida epocale, affrontandola “insieme”.Senza inutili illusioni; sapendo che, come dicono gli immunologi più seri, il vaccino quando arriverà non sarà risolutivo. Consci che, falliti il sistema di tracciamento e l’applicazione Immuni, ci aspettano lunghi mesi difficili, in cui le evidenti falle del sistema potranno essere compensate solo dai comportamenti virtuosi di ciascuno di noi. 

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