11 Agosto 2013 - 11.09

Commercialista vicentino tenta suicidio dopo l’udienza di separazione

tribunaleVicenza

<di Luca Faietti

“Mi vogliono togliere tutto, mi uccido”. Un sms di poche parole, una ammissione diretta di volerla fare finita, dopo i pesanti attacchi subiti nel corso di una udienza per una separazione giudiziale. Ha tentato così il suicidio un noto commercialista di Vicenza, ingerendo pillole ed abbandonandosi all’oblio, non senza prima aver pensato a quanto accaduto il giorno stesso davanti al giudice Fabio Laurenzi in Tribunale a Vicenza. L’uomo 40 anni ben portati è stato salvato dalla prontezza del suo avvocato che ha immediatamente contattato le forze dell’ordine che sono intervenute, portandolo poi all’Ospedale San Bortolo. E’ l’altra faccia della medaglia, quella di uomini fortemente penalizzati da separazioni dolorose e sui quali gravano spesso e volentieri oneri superiori alle responsabilità. Andrea viveva un matrimonio felice, una bimba avuta dalla moglie la quale un giorno se ne è andata di casa. Una storia finita, come tante, un anno trascorso a trovare un accordo per una separazione indolore. Difficile però, perché Andrea lavorava nello studio del padre di lei e da lì era stato cacciato dopo la separazione. Andrea aveva dovuto cominciare tutto da capo. Un passo alla volta, nuovi clienti, nuova vita tra mille difficoltà. Fino all’udienza che l’ha segnato profondamente, tanto da tentare il suicidio. Due ore e mezza di attacco diretto e profondo che ne hanno alterato le capacità di tenuta psicologica. Le richieste della controparte pesantissime: 1500 euro al mese per il mantenimento della bambina, piccola affidata completamente alla madre. Troppo per Andrea. Ovviamente il giudice si è riservato una decisione. Ma il senso di fragilità che porta questo genere di situazione in cui si è oggetto del fuoco nemico ha provocato profonde ferite in Andrea. “Non ce la farò mai a far fronte a queste spese e a dover rinunciare alla piccola”, ha detto al suo legale il commercialista vicentino. Che la sera ha scritto un primo sms al suo avvocato: “Non posso accettare che le cose vadano in questo modo”. Poco dopo ha ingurgitato un cocktail di farmaci che l’hanno stordito, ma non ucciso. La mattina dopo alle 6,45 un nuovo messaggio: “Voglio che si parli della mia storia, che diventi un esempio di come vengono maltrattati i padri, la prima volta mi è andata male, ora mi tolgo la vita”. L’intervento delle forze dell’ordine l’ha salvato grazie alla prontezza del suo avvocato. Ma la storia di Andrea è di quelle che richiedono una riflessione seria su come evitare questo genere di soprusi, sul ruolo degli avvocati che devono mediare e non vincere, su di una legge che dovrebbe equilibrare più che spezzare, dividere e creare nuove fasce di emarginazione e disperazione.

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