27 Settembre 2019 - 11.51

Chi ricorda le suore di Vicenza?

di Alessandro Cammarano

“Tua senza ritorno!”, così si diceva da ragazzini quando in compagnia si incrociava una suora.

 Non era gesto particolarmente elegante, soprattutto se la suora – alla quale gli adolescenti attribuivano potentissime doti iettatorie – se ne dava conto; ricordo che una monaca particolarmente autoironica prevenne la masnada brufolosa anticipando il “Tua senza ritorno” elargendolo ad uno dei ragazzetti che rimase basito tra le risate degli altri suoi compagni d’avventura.

Scherzi – da prete – a parte quelle delle suore, in particolare a Vicenza, è un fantastico microcosmo ricco di tipi e sottotipi, alcuni gradevolissimi, altri meno.

Elemento distintivo di qualunque ordine monastico femminile è il leggero odore di brodo che contraddistingue quasi tutte le suore, senza distinzione di età ma più spiccato in quelle avanti con gli anni, come un marchio di fabbrica; viene il dubbio che si tratti di un’essenza distillata da qualche perverso profumiere francese e che porti un nome tipo “Eau de bouillon”.

Altro elemento caratteristico è costituito dai lineamenti non esattamente muliebri di alcune sorelle, tanto da far pensare che in alcuni casi si possa trattare di boss della malavita organizzata abilmente travestiti per sfuggire al mandato di cattura internazionale che li insegue da decenni.

Scherzi a parte la maggior parte delle suore è simpatica e incline al sorriso; chi scrive ne ha incontrate parecchie e ne serba un ottimo ricordo, eccezion fatta per quelle ospedaliere – che per altro sono in via d’estinzione –. Si ha memoria di caposala tremende, capaci di organizzare militarmente qualsiasi reparto, in grado di portare alla conversione per sfinimento il più agnostico dei degenti, elargitrici di caramelline di zucchero a ricompensa della partecipazione ai riti domenicali e, in epoca di Democrazia Cristiana, dispensatrici di santini della Madonna di Monte Berico o di Santa Bertilla Boscardin con indicazioni di voto sul retro.
Tutti noi siamo stati all’asilo: è lì che solitamente avviene il primo contatto con le suore. Ricordo con affetto quelle dell’Istituto “Farina”, Dorotee, quasi sempre vestite di bianco, generalmente sorridenti e inclini allo scherzo, tranne in alcuni casi…in cui diventavano pericolose. Guai a provare a sincerarsi di persona riguardo a cosa ci fosse sotto velo e cuffietta, si rischiavano scappellotti non esattamente amichevoli, subiti per altro con stoica sopportazione e con la soddisfazione di aver finalmente capito che anche le monache hanno i capelli.

Girano in gruppo le suore, mai comunque meno che in coppia come i Carabinieri, soprattutto quando una ha bisogno di essere accompagnata ad una visita medica. Generalmente il piccolo manipolo è così costituito: suora ammalata, che può essere più o meno presente a se stessa; consorella cicciotta e cordiale, propensa ad attaccare bottone con chiunque pur prestando attenzione che l’ammalata non precipiti dalla sedia a rotelle o faccia usi impropri del bastone; monachina secca e di età indefinibile, spesso occhialuta e non esattamente portata ai rapporti umani e capace di far piangere il più serafico dei pargoli.

La stessa tipologia di comitiva, escludendo l’ammalata, si ritrova nella versione “shopping” perché, ebbene sì, anche le suore fanno compere. È bellissimo vederle al mercato in cerca di candidi mutandoni ortopedici, di nivee sciarpine e di golfini color dei biancospini, confrontando e contrattando con i venditori e portando a casa anche un fazzoletto in omaggio.

Le più divertenti, generalmente simpaticissime, sono le suorone cuciniere, quelle che hanno sempre le maniche rimboccate e che, lasciate momentaneamente le pentole, corrono dietro ad un pallone tirandosi su la veste e dribblando con cristianoronaldesca perizia i ragazzini che giocano durante la ricreazione.

La mia predilezione va alle suore guerriere, quelle impegnate davvero nel servizio verso gli ultimi, quelle che non hanno paura di sporcarsi le mani. Ricordo una suora che, dopo aver preso gli ordini, era andata a lavorare in fabbrica e da lì in una sperduta missione nel cuore del Brasile; come non provare ammirazione per una persona così? Nel cuore di chi scrive è anche un’altra sorella delle Orsoline, simpatica e profonda, con una comunicativa straordinaria, colta e capace di persuadere senza nessuna forzatura, parca di consigli ma ricca di esempi.

Ci piacciono parecchio anche le suore “in borghese”, vestite di un semplice tailleur blu con un Tau francescano al collo o una piccola croce sul bavero della giacca, senza velo; a dimostrazione che spesso non è l’abito a fare il monaco.

Resta solo un dubbio: ma il reggiseno lo portano?

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