26 Marzo 2019 - 9.36

Brexit, a che punto siamo?

 

Due parole Britan ed exit, abbreviate e storpiate nel termine più conosciuto BREXIT, indicano il processo che porterà l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, genesi iniziata nel febbraio 2016 quando l’allora primo ministro conservatore David Cameron decise di indire un referendum sulla permanenza nell’unione.

Argomento di questi giorni, è la difficoltà che sta riscontrando il Regno Unito nell’attuare la storica decisione. Già in principio comunque, la decisione di staccarsi dall’Unione Europea attraverso il referendum, non fu plebiscitaria, ma accolta solo dal 52% dei votanti.

Per il momento, il Consiglio Europeo cioè l’organo che raduna i capi di Governo e di Stato dell’U.E., andando incontro alle difficoltà che sta riscontrando il governo Inglese, ha deciso di posticipare la scadenza al 22 maggio rispetto alla data inizialmente fissata del 29 marzo, e assolutamente prima della scadenza elettorale europea di fine maggio.

Un compromesso indispensabile, e necessario a Theresa May, per cercare di convincere il parlamento britannico della bontà dell’accordo. In caso contrario l’uscita avverrà senza alcun accordo, salvo sorprese, allo stato attuale non ancora valutate come la possibilità di richiedere un secondo referendum o delle elezioni anticipate.

Nonostante queste perplessità, su una cosa tutti sono concordi, e cioè nel sapere che un uscito con un “no deal” sarebbe una catastrofe per l’economia dell’intero Regno Unito.

Un psicodramma della politica britannica, da cui potranno uscire solo se per una volta riusciranno a mettere da parte le contradizioni che da sempre distinguono i laburisti dai conservatori, cosa più facile da dire che da fare.

Nuove elezioni generali, un secondo referendum, una BREXIT rimandata o addirittura cancellata. L’unica certezza è la profonda incertezza che sta caratterizzando in questi giorni la vita politica britannica.

Stanno di fatto subendo a distanza di tre anni il risultato non preventivato del referendum che a suo tempo colse impreparato lo stesso Cameron, fino a convincerlo a rassegnare le proprie dimissioni. Una parte del Paese, infatti, non ha mai digerito l’esito del referendum. Londra, la Scozia e l’Irlanda del Nord votarono a favore del “remain” manifestando in più occasioni il loro dissenso.

L’esito del referendum fu una decisione di pancia, alimentata dell’euroscetticismo, e che inevitabilmente porterà delle conseguenze. Solo il tempo potrà stabilire cosa effettivamente succederà, se il tutto dovrà tradursi in un lento e costante declino del Regno Unito oppure se rappresenterà per Londra la possibilità di diventare un nuovo paradiso fiscale.

 

 

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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