10 Aprile 2017 - 9.57

BPVI – Rischio prescrizione per i 9 indagati

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di Stefano Diceopoli

Per il grande pubblico, il problema Banca Popolare Vicenza è esploso nel settembre del 2015, quando la guardia di finanza ha deciso di eseguire una perquisizione negli uffici di via Battaglione Framarin, quartier generale che per quasi vent’anni è stata il regno di Gianni Zonin. Solo a quel punto ci si è resi conto che qualcosa non andava e molti hanno riposto le loro speranze di giustizia in una indagine affidata alla procura di Vicenza. Il procuratore Antonino Cappelleri ha girato ai sostituti Luigi Salvadori e Gianni Pipeschi una mole enorme di documenti e una inchiesta che, fino ad oggi, ha visto finire sul registro degli indagati i nomi di nove persone e lo stesso istituto di credito come responsabile civile. I reati ipotizzati fin dall’inizio sono principalmente due: aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. Cosa vuol dire?

I REATI. Facciamola molto semplice. Dopo la crisi economica del 2008, tutti i titoli bancari avevano subito un vero e proprio tracollo, quelli della Popolare, invece, crescevano. Come è stato possibile? Secondo l’accusa il titolo è stato artificialmente pompato, tenuto alla cifra di 62,50 euro per azione grazie alla pratica di allargare in modo esponenziale la platea degli azionisti. Per esempio facendo sottoscrivere il taglio minimo di azioni a chi si presentasse allo sportello per chiedere un mutuo, in cambio di migliori condizioni e interessi favorevoli. D’altro canto, la domanda di titoli della banca sarebbe stata sostenuta con la pratica di finanziare gli azionisti affinché
comprassero altre azioni, magari con la promessa di ricomprarle allo stesso prezzo. Aggiotaggio.
Per quello che riguarda l’ostacolo alla vigilanza il ragionamento è ancora più semplice. I magistrati sostengono che gli indagati – tutti o alcuni – abbiano avuto una parte nel raccontare frottole, mostrare solo una parte dei documenti e rappresentare una realtà diversa da quella effettiva a coloro che erano chiamati a controllare: Banca d’Italia e Bce in primis.

LA PRESCRIZIONE. Come detto molti si aspettano grandi cose da questa indagine, ma se il quadro non cambia bisogna essere molto più prudenti. I magistrati hanno studiato molto, sentito decine di persone, eseguito verifiche. La data di iscrizione del fascicolo, secondo i bene informati, deve essere fatta risalire al giugno del 2015, ma i reati partono da prima: per esempio l’ostacolo alla vigilanza potrebbe risalire già al 2012. Se verranno rispettate le promesse, ripetute anche recentemente dal procuratore Cappelleri, la procura sarà in grado di chiudere la fase delle indagini preliminari entro l’estate. Per comodità di calcolo diciamo entro giugno 2017. Saranno già passati due anni dall’iscrizione, molto di più dall’inizio dei reati. Una volta spedito l’avviso di chiusura indagini, tutto il fascicolo dovrà essere messo a disposizione delle parti affinché ne possano prendere visione. Gli indagati avranno anche la facoltà di chiedere di essere sentiti prima che i pubblici ministeri esercitino l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio. Quello che chiamiamo “il fascicolo”, nel caso di specie, è costituito da alcune stanze zeppe di faldoni, un mare di carta. Quelle che chiamiamo invece “le parti” sono tutti coloro che entrano nel procedimento, quindi teoricamente i soci della popolare, o tutti coloro che hanno qualcosa da lamentare, tutti coloro che sostengono di essere stati turlupinati: ciascun socio potrebbe nominare un avvocato, chiedere di aver accesso agli atti, di avere il tempo di consultarli e di estrarre copia. Pare che la Procura abbia già pensato ad una traduzione informatica del fascicolo, ma in ogni caso i tempi di visione e copia sono inimmaginabili e non comparabili con alcun altro processo mai visto in precedenza in Italia. Ci sono stati maxi-processi con centinaia di indagati-imputati, ma mai processi con così tanti teorici danneggiati. A mente del codice di procedura, quindi, è immaginabile un’udienza preliminare fiume, nel corso della quale numerose giornate dovrebbero essere dedicate semplicemente a fare l’appello di tutti coloro che intendono prendere parte, e poi un processo i cui modi e tempi non sono ipotizzabili.
Per ultima ho tenuto la notizia spiazzante. Il reato di aggiotaggio si prescrive in sei anni, quello di ostacolo alla vigilanza in sette anni e mezzo. Significa che, una volta trascorso questo tempo, lo Stato rinuncia a condannare i responsabili. A voler essere ottimisti, si potrebbe forse arrivare, nei termini, ad una condanna in primo grado, ma nessun giurista dotato di buon senso potrebbe solo pensare che si possa arrivare ad una condanna definitiva, contando ricorso in appello e cassazione. Grandi attese, poche speranze.

L’ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE. Sono in realtà molto pochi coloro che ricordano una dichiarazione resa nel marzo del 2016 dal procuratore Antonino Cappelleri all’agenzia Ansa. “Ci troviamo di fronte ad una organizzazione strutturata, la banca, all’interno della quale alcune persone avrebbero operato, con una struttura gerarchica ben organizzata, per mettere a segno un numero indefinito di reati.” Mi rendo conto che questo articolo non può diventare una lezione di diritto, ma se andate a leggere sul codice la definizione del reato di associazione per delinquere, 416 c.p., troverete che è strutturato esattamente come la dichiarazione del procuratore. Significa che, nel marzo del 2016, il responsabile dell’ufficio incaricato delle indagini, preconizzava di poter contestare il reato associativo. Pare poco? In realtà conta, almeno sul piano della prescrizione, perché la sposterebbe in avanti di parecchio, oltre i 10 anni e mezzo, facendo rinascere speranze. Ma se la contestazione verrà avanzata lo si capirà solo con la chiusura delle indagini.

INTERROGATORI. Nel corso delle ultime settimane abbiamo assistito a due passaggi importanti. Gli interrogatori di Gianni Zonin e di Samuele Sorato, rispettivamente il capo della struttura “politica” e il vertice di quella manageriale. Il primo pare abbia detto che i manager misero in atto una serie di azioni all’insaputa del Consiglio di amministrazione e con tecniche tali da tenere tutti all’oscuro. Il secondo si difende in modo tecnico: non era compito del direttore generale deliberare su finanziamenti (per realizzare l’aggiotaggio) o avere rapporti con i controllori (per l’ostacolo alla vigilanza). Prudentemente tace sul fatto di aver saputo quello che stava accadendo. Tutti sanno che l’unico sipario della rappresentazione sarà appunto la prescrizione.

AZIONE DI RESPONSABILITA’. Se il processo è commedia, l’azione civile assomiglia molto di più ad una tragedia. Nel processo penale – ad esempio – si può sequestrare solo il provento del reato. E quale potrebbe essere il provento finito nelle tasche degli indagati per il reato di aggiotaggio? Il loro stipendio, i premi di risultato? Briciole.
In sede civile si risponde invece per il danno provocato e non è un caso che gli attuali vertici della banca chiedano agli ex amministratori e dirigenti – 32 persone in tutto – qualcosa come due miliardi di euro, fra danni economici e danni reputazionali. E’ una cifra che si avvicina a quella sborsata dal fondo Atlante per comprare la banca e poi per gestirla per un anno. Al tribunale delle imprese aveva fatto ricorso mesi fa lo stesso Gianni Zonin per ottenere la dimostrazione della sua correttezza, al tribunale delle imprese ricorre la banca per ottenere i danni, al tribunale delle imprese si è rivolto uno degli azionisti che ha ottenuto, intanto, di non pagare le rate del mutuo su azioni comprate a 62,50. Alla giustizia civile potrebbero rivolgersi tutti gli azionisti che pensino di essere stati danneggiati, sempre che non abbiano già accettato l’offerta di transazione a 9 euro per azione che conteneva anche l’impegno specifico a non intraprendere azioni in sede civile. Aver disinnescato la bomba dei ricorsi civili, alla fine, potrebbe aver significato la salvezza della banca e anche il suo futuro.

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